WOLVERINE/HULK: Storia di Po (Sam Kieth)

L’illusione preserva l’innocenza, l’innocenza salva il bambino.

Ristampato recentemente nel primo numero della neonata collana Marvel Best Seller (ovviamente a cura della Panini) di aprile del corrente anno, ma edita per la prima volta negli USA nel 2002 ed in Italia nel gennaio 2003 in un 100% Marvel apposito, questa della quale ci accingiamo a parlare è una storia inusuale ma preziosa, ingentilita del genio di Sam Kieth, il quale, caso tanto raro nell’industria dei comics da essere solitamente riservato a maestri del genere come il sommo Frank Miller, fa da autore completo – cura sia testi che disegni – accompagnato da Richard Isanove solamente per i colori – sì, esatto: lo stesso Isanove che ha colorato poeticamente le stupende tavole di Wolverine: Origin.

Abbiamo quindi Wolverine che sprofonda in venti gradi sotto zero precipitando col suo catorcio/aereo, Hulk che è.. arrabbiato – sai che novità – per qualche motivo, anche lui tra la fredda neve, ed una ragazzina, Po, fulcro della storia – come lo stesso titolo ci detta.

Se i primi due li conosciamo già abbastanza per mille storie a fumetti, vari film, cartoon ecc., l’ultima tra questi va presentata.

Questa ragazzina, Po, cerca un posto in un mondo pieno di candida sabbia che non fa che sommergerla nella sventura, e in ciò a cui è stata abituata a pensare ed assimilare vede il suo rifugio di comunicabilità: instaura un dialogo con la morte, cerca questo rifugio nel sublime e nel terrificante che, agli occhi di una bambina, dà consiglio e sicurezza più di un qualsiasi, claudicante, vivo:

Io non volo come papà e non sono intelligente come lo zio, io parlo alle cose morte. ..scoiattoli, uccelli, vecchi teschi.. Papà dice che fa venire i brividi, ma a me le cose morte piacciono. Le cose morte mi sussurrano sempre dei segreti. Le cose morte mi dicono la verità.

Trova in questo le sue certezze, la sua ancora, e non è un caso se si lega ad una figura che sempre si raffronta con la morte, quella di Wolverine, praticamente ad impatto. Premesso questo, e legandolo a come gli occhi di una bambina possano filtrare il mondo ad ella esterno, allora possiamo comprendere appieno il tratto scelto per il disegno di quest’opera: grottesco ed onirico, marcato e innocente.
La figura di Po si dissolve piano piano, a tratti, fra le vignette, facendosi ora figura di primo piano ora di secondo piano trasfigurandosi da tridimensionale a bidimensionale, ma mantenendosi sempre tangibile grazie alla particolarità preminente del racconto, che eleva il personaggio: come tutto sia il riflesso dei dolci occhi dell’infante.

Po faceva sempre delle domande sulla scienza. Perché le cose cadono? Dove va il sole durante la notte? Cosa vuol dire ‘propedeutico’? Era una ragazzina ferma al significato letterale delle parole. Le sue domande erano semplici. Quasi sempre le davo una risposta.

–       Zio, perché poi i topi del laboratorio spariscono?

–       I topi devono sparire così noi facciamo del bene alle persone, Po.

–       Ma i topi non diventano tristi e poi piangono quando devono sparire? … Zio?..

–       Non lo so.

Dopo quella volta, Po fu ossessionata dallo ‘sparire’. 
Non ho mai visto una bambina con una tale morbosa curiosità sull’Aldilà.

Nel rendersi bidimensionale e tridimensionale a fasi alterne, quindi, Po non esprime altro che la sua ricerca della tangibilità di un Aldilà, di una vita nello sparire, d’un respiro nel nulla.
Il tutto attraverso un disegno ora semplice ora più dettagliato, ridotto ad una smiley o ampliato ad una particolareggiata espressione corrucciata.

Ogni ripresa di un pezzo del racconto, che ci voglia riportare alla storia dopo uno stacco – come ad inizio del secondo capitolo – e, come questi, pure i flashback, sono caratterizzati da disegni fatti dalla stessa Po, ed è questo uno dei rari casi in cui una sintesi si fa aggiunta positivamente alla storia: cala ancora di più il lettore nell’atmosfera. Più in generale, i disegni di Po sono delle chicche poiché specchi della docile psiche della bambina, che un po’ ci fa sorridere un po’ ci amareggia. Particolari come – quando indica in un disegno i vari “compagni di viaggio con delle freccette: Hulk, Logan, sé stessa – l’indicare i trecentoventisette peli sul braccio di Logan, non possono che portarci al sorriso immediato e farci apprezzare questa via narrativa di reintroduzione al racconto.

I contrasti e le affinità, le analogie e le antitesi fra i tre protagonisti sono forti: Hulk è il parallelo della bambina, poiché in lui prevale l’aspetto infantile, caccia i possibili traumi o li modifica fino a deformarli. Hulk vuole solo sfogarsi e non pensare e non sentire. Hulk mostra il tipo di comportamento che Po, bambina dal precoce sviluppo, rifiuta. Hulk è il bambino che si lamenta, Po la bambina illusa ma coraggiosa.
Wolverine, dal canto suo, non ha mai avuto un’infanzia.

Non mancano i momenti in cui ridere, ed anzi sono varie le buffe situazioni che si vanno a creare tra i due rabbiosi co-protagonisti, e, nonostante come storia supereroistica sia alquanto atipica, i personaggi vengono rispettati appieno – indi non diffidate dall’opera con questo tipo di preoccupazione perché non ve n’è il benché minimo motivo.

Avrei tante, tantissime altre cose da scrivere, ma non voglio svelare nulla della storia di questa ragazzina, non voglio rovinare l’impatto con questo perfetto e crudele sogno illustrato con mestiere e cuore da Sam Kieth, ed ancora non voglio sopratutto ritrovarmi a balbettare ed incespicare tra le parole non riuscendo a contenere quel tremolio che viene alle mani leggendo l’ultimo capitolo e mezzo e rendendocisi sempre più conto della finalità del background della bambina dal pigiamino rosa.

L’illusione preserva l’innocenza, l’innocenza salva il bambino.

Così Hulk e Wolverine possono salvare Po dal suo “pericolo”.
Che non è la vita, e non è la morte.
Quale sia, lo scoprirete leggendo.

9/10, senza mezzi termini.

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