TWR The Revenant, ovvero ciò che un uomo è disposto a fare per vincere un Oscar

Un paio di sere fa ho visto The Revenant. Sono uscito dal cinema stanco, angiosciato ed infreddolito. Molto infreddolito.
Alejandro González Iñárritu, dopo il successo di Birdman dello scorso anno, ha calcato di nuovo la mano ribadendo che lui di roba banale non ne vuole proprio scrivere/dirigere, e confermandosi così come il più talentuoso regista su piazza.
Forte di un Oscar e di un budget da 135 milioni (!!!), Iñárritu ha realizzato un survival-western mettendo a rischio di sopravvivenza i suoi stessi attori: la scene sono girate a temperature tra i -30° ed -40°, tutte rigorosamente con luce naturale (come fece il maestro Kubrick con Barry Lindon), il che, in certi casi, ha comportato una riduzione del minutaggio disponibile per filmare alcune sequenze a soli 30 minuti al giorno. Il tutto in location raggiungibili dopo svariate ore di macchina. Di Caprio in quei fiumi sotto zero con addosso una pelle d’alce da 45 Kg ci è finito davvero ed i suoi ripetuti colpi di tosse non erano “recitati” ma figli della bronchite cronica e della febbre. E il fegato di bufalo crudo che azzanna ad un certo punto del film è un vero fegato di bufalo CRUDO e sanguinante, con buona pace dello spettatore vegano. 
Insomma, la ricetta di Iñárritu per presentarsi in pompa magna agli Oscar 2016 è stata ‘tutti incazzati e febbricitanti’ e, per ribadire questo concetto, il regista ha dichiarato alla stampa “se avessimo utilizzato il green screen, tutti sarebbero stati rilassati e felici davanti al loro caffè caldo e, molto probabilmente, il film sarebbe stato una merda”. In buona sostanza se avessero utilizzato un vero grizzly per far sbudellare Di Caprio, avrebbero anche potuto licenziare il tecnico degli effetti speciali. Per la cronaca, quello qui sotto è il signor Glenn Ennis, di professione stuntman, che ha interpretato l’orso di The Revenant. A proposito del suo ruolo da grizzly, Glenn ha dichiarato: “Per far sì che le fauci dell’orso dilaniassero la schiena di Leo, ho praticamente dovuto mettere la mia faccia nella sue chiappe. La mia faccia è stata nelle chiappe di Leo per parecchio tempo.”

Ma qui non si tratta solo di iper-realismo (se escludiamo la performance del signor Glenn), perché da un punto di vista registico The Revenant è magnifico, un trionfo di virtuosismi visivi e – se ricordate Birdman non dovreste stupirvi – è pieno zeppo di piani sequenza (in particolare l’assalto degli indiani all’accampamento della compagina che apre il film e la lotta tra Leo ed il grizzly sono letteralmente impressionanti). Il risultato è sì un western, ma uno come non ne avete mai visti. In pratica The Revenant va così: piano sequenza, omicidi crudi, fiume, budella, indiani, orso, piano sequenza, neve, rantoli, tigna con riporto di Tom Hardy, sbudellamento, fiume, neve, rantoli, piano sequenza, indiani, fiume, tempesta di neve, rantoli, omaggio al Tauntaun de L’Impero Colpisce Ancora, budella, piano sequenza, neve, rantoli. FREDDO.

All’intervallo, finalmente, sono riuscito a respirare ed ho maturato la convinzione di non aver mai visto un film che mi avesse attorcigliato le budella così a lungo per più di un’ora filata. Poi, invece, nel secondo tempo, l’avventura survival di Di Caprio arranca. La crudezza e l’iper-realismo lasciano il posto a più di una perplessità per via del sesquipedale quantitativo di sfighe ed incidenti che quest’uomo è costretto a subire. E viene il dubbio che il film colpisca sì perché è un esercizio di stile ben studiato e perché Di Caprio è monumentale, ma che sotto una superficie tecnicamente sbalorditiva ci sia una trama poco solida e, talvolta, lacunosa.

E ora, inevitabilmente, tocchiamo l’argomento Oscar. Come detto, il film registicamente è eccezionale, dunque non ci sarebbe da meravigliarsi se Iñárritu dovesse vincere la statuetta per il secondo anno di fila (anche se, personalmente, faccio il tifo per George Miller, Mad Max: Fury Road mi ha letteralmente galvanizzato). 

Di Caprio, invece, merita un bel discorso a parte. Di certo Leo non avrà fatto grande fatica per imparare le battute di The Revenant, messe tutte di fila, forse, non arriviamo neanche ad un discorso di 2 minuti. Ma dal punto di vista fisico ed espressivo è un 10 e lode pieno, davvero straordinario. Finora la sfiga di Leo è stata che, nonostante grandi interpretazioni, si è trovato sistematicamente a dover rivaleggiare con l’attore di turno che si sparava la prestazione della vita: quando uscì The Aviator si confrontò con il Jamie Foxx di Ray, nel 2007 andò in nomination per Blood Diamond (anche se a me quell’anno piacque di più in The Departed di Scorsese) ma Forrest Whitaker con L’Ultimo Re di Scozia sbaragliò tutti ed infine arrivò The Wolf of Wall Street mentre Matthew McCounaghey tirava fuori dal cilindro il texano malato di AIDS di Dallas Buyers Club. Senza dimenticare quella piccola, strepitosa, parte da broker cocainomane con cui in soli due minuti si è letteralmente divorato il povero Leo.

Ma stavolta è il suo turno. Non ho visto The Danish Girl e non so se Eddie Redmayne ha qualitativamente bissato l’interpetazione dell scorso anno ne La Teoria del Tutto, ma se davvero non dovesse vincere l’Oscar non penso che Di Caprio la prenderebbe troppo bene…

E, a proposito di corsa all’Oscar, non sottovaluterei Tom Hardy come miglior attore non protagonista: il suo Fitzgerald che girovaga bofonchiando sulla neve come un cane idrofobo con la tigna ed il riporto ha tutte le carte in regola.

In conclusione The Revenant più che un film, è un’esperienza faticosa ma appagante che merita di essere vissuta (magari con una borsa dell’acqua calda accanto al bicchierone di pop corn).

Io vi saluto e vi ricordo che il miglior modo per evitare di finire nelle rapide di un fiume con 40 gradi sotto zero dopo essere stati sbranati da un orso, è piazzare un bel like alla mia pagina Facebook:

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