Dylan Dog fra il vecchio e il nuovo: una proposta di analisi

Una piccola premessa: questa non è una recensione canonica di due albi di Dylan Dog, certamente si parla delle storie e dei disegni, però ho voluto mischiare tutto con delle considerazioni sull’evoluzione che il personaggio sta avendo. Ho tralasciato di analizzare approfonditamente le sceneggiature per dar spazio a riflessioni generali sul passato e le prospettive di questo fumetto.

Ritengo che per capire questo nuova fase di Dylan Dog si debba partire da Roberto Recchioni. Lo sceneggiatore romano è l’artefice del cambiamento e, finalmente, l’Indagatore dell’incubo sembra aver preso le forme del suo nuovo curatore. Più volte ho sottolineato che Recchioni si è creato un personaggio che funziona, e che forse lo aiuta anche a vendere di più. Ma l’altro lato della medaglia è che manca un po’ di serenità nei giudizi quando si parla dei suoi fumetti. Dico una cosa molto semplice: anche chi non è un suo ammiratore deve ammettere che questa volta la svolta finalmente c’è stata. Ed è evidentissima.

Parto dal numero 337 – Spazio profondo perché viene prima cronologicamente e perché la rottura con tutto ciò che era stato fatto fino a pochi mesi prima è già notevole. 

Spazio Profondo presenta una veste grafica policromatica, riservata – come è noto – solo ai numeri speciali. Ma la scelta del colore, peraltro ottimamente realizzato da Lorenzo De Felici, non è solo una facciata per conferire importanza a un numero celebrativo, ma una vera e propria protagonista della storia. Gli ambienti gelidi dello spazio e dell’astronave sono ben illustrati dalle tinte fredde adoperate. Non sono meno calzanti le colorazioni di un inferno freddo e umido, dei mostri “del passato” o degli schizzi di “sangue”. Chi ha letto la storia sa il perché di tutte queste virgolette. Oltre a ciò, si somma la migliore performance di Nicola Mari, disegnatore che tra l’altro non prediligo, ma che questa volta è stato bravissimo. E per chiudere un – come sempre – ottimo lavoro del copertinista Angelo Stano, della sua svolta pop ho già parlato qui (link).

Altro elemento di rottura è costituito dalla natura stessa della storia, a cominciare dagli argomenti affrontati e dall’ambientazione. Per me già l’ambientazione è una chiara dichiarazione di intenti. E non perché colloca l’albo nel futuro o fuori da una presunta “continuity ufficiale”, ma perché dà l’idea della svolta molto più di tutte le locuzioni finora usate, come downgrade, 2.0, upgrade, fase 2, ecc. A mio avviso si tratta di un invito ad assecondare la svolta senza pregiudizi e vedere dove porta, guardare con occhi vergini le nuove storie, e godersele per quello che saranno. Perché se da un lato è vero che il Dylan degli anni Ottanta e Novanta (dei citatissimi primi 100 numeri) non potrà tornare più, è altrettanto vero che tutto il mondo attorno a Dylan è cambiato, e la scelta è, come sempre, adattarsi o morire. Non si deve essere chiusi rispetto ai cambiamenti, semplicemente occorre studiare il personaggio, vedere quali cose l’avevano reso grande e verificarne la riproducibilità nelle storie future. In questo la mia opinione credo che coincida totalmente con quella di Recchioni.

Ad esempio, a prescindere dal giudizio che possiamo dare al personaggio di Dylan Dog, egli è sempre stato un sognatore, uno sconfitto che non si rassegna mai, con una battuta potremmo dire che, nella storia in esame, si confronta con se stesso e ne esce comunque battuto. Nel numero 337 questa situazione è stata riproposta all’ennesima potenza se si considera che Dylan Dog perde anche contro materializzazioni di diversi aspetti del suo carattere: quello che uccide, quella più sensibile, quello che ha le intuizioni logiche e deduttive (intelligente) e infine quello che “parla” con le macchine. Per cui il nostro protagonista si trova, come ai vecchi tempi, materialmente a confrontarsi con le sue paure e con alcuni aspetti della sua personalità, ma questa volta fuori da qualsiasi metafora, e ne esce – nella migliore delle ipotesi – confuso e spaesato. Forse è possibile una doppia identificazione del personaggio col lettore che mensilmente si trova di fronte un Dylan Dog sempre uguale, e allo stesso tempo sempre diverso. 

Il soggetto è ottimo quanto a efficacia e originalità, in più si sviluppa su una direttrice più di fantascienza che di horror mai provata in precedenza sulla collana. Tutte le soluzioni narrative sono onestamente rivendicate dallo stesso Recchioni – autore anche della storia – nell’Horror Club. C’è dentro un po’ di tutto: dal cinema sovietico con Solaris al film per antonomasia di fantascienza 2001: Odissea nello Spazio, passando naturalmente per la bellissima saga di Alien. Probabilmente a scavare ancora si troverebbero molte altre citazioni. Infatti pure la questione delle fonti e del citazionismo è cruciale nelle storie di Dylan Dog, e se Tiziano Sclavi attingeva, per esempio, alla letteratura di Matheson, Recchioni reinventa le sue fonti, e non perché Matheson non vada più bene, ma perché lo sceneggiatore romano raccoglie, ancora una volta, la sfida del rinnovarsi o scomparire. Dunque in questo c’è una svolta, e sebbene oggi come ieri Dylan Dog prenda sempre spunto dalla “cultura popolare” (locuzione che odio ma che uso per semplicità), e considerando però che sono state le fonti stesse a cambiare, di conseguenza è normale cercare nuove narrazioni, più coraggiose. Comunque l’importante è che l’approccio di fondo non è cambiato, e questa cosa non può non piacere ai fan, sia vecchi che nuovi.

In passato ho riflettuto sull’assenza di Groucho da molte storie, e sul fatto che l’ispettore Bloch fosse talvolta retrocesso da personaggio/motore dell’azione a mera rotella dell’ingranaggio della storia. Qui Groucho e Bloch esistono e non esistono, sono proiezioni del passato di Dylan Dog che a sua volta è una riproduzione in laboratorio del vero indagatore. Recchioni riesce nell’impresa di mostrare dei personaggi che ci sono e non ci sono contemporaneamente. Io ho visto molti significati in ciò: che nel futuro ci sarà sempre un Dylan Dog e sarà la sintesi dei fallimenti precedenti e delle speranze e delle ambizioni degli autori; che i personaggi comprimari muteranno la loro sostanza, ma sarà sempre un’evoluzione; che il confronto con i ricordi genera mostri, tanto più per la generazione di lettori alla Zerocalcare che hanno fatto della nostalgia il sentimento di appartenenza come ha scritto giustamente Pellitteri su Lo Spazio Bianco (link); che la riproducibilità di Dylan Dog esce anch’essa fuor di metafora, e diventa un tema tanto più interessante se rapportato al reale.

Il finale è degno di nota, con un grande vignetta inquietante. Dopo tanti happy end posticci si torna al finale “aperto” ma che non dà scampo al protagonista. Il punto non è l’inferno, o il grado di inquietudine che la storia era riuscita a darci, il punto è che nell’horror il finale non deve mai essere totalmente positivo. Il lettore deve finire con ancora più domande e angosce di quando ha cominciato a leggere la storia. Questi sono i finali che voglio per Dylan Dog.

Allora il numero 337 – Spazio profondo spiega alcune cose e ne mette in chiaro delle altre. Allo stesso tempo fa delle promesse allettanti, ma come dicevo su, per quanto si tratti un’ottima storia, resta più un manifesto della nuova gestione che altro.
Con il numero 338 – Mai più, Ispettore Bloch la coppia di veterani formata da Paola Barbato e Bruno Brindisi va invece concretamente ad agire sul quotidiano dell’Indagatore dell’incubo.

La storia è strutturata molto bene dalla Barbato. Da un lato il pensionamento di Bloch, dall’altro lato la bella Nora, una morta vivente che vorrebbe trapassare definitivamente con l’aiuto dell’indagatore dell’incubo, in mezzo, appunto, Dylan Dog. Così il nostro (anti)eroe si trova intrappolato fra gli indizi che riguardano il suo caso, con tanto di movimentate vicende legate alla famiglia malavitosa di Nora, e le preoccupazioni per la nuova vita di Bloch e, di riflesso, il suo rapporto con lui.

Insomma la sceneggiatura è ottima, e in essa si alternano felicemente momenti umoristici, di tensione e splatter. Tutto sembra volgere per il peggio fino a quando non giunge una vecchia conoscenza di Dylan ad aiutarlo a sbrogliare la situazione. Un po’ quello che era successo nel numero 331 (link) seppur qui con delle più evidenti avvisaglie. Ebbene confermo quanto detto nella precedente recensione, ovvero che non cerco l’originalità a tutti i costi, tanto che basta sfruttare le soluzioni che già ci sono in maniera intelligente, proprio come fa la sceneggiatrice. 

Dylan sembra tornato il vecchio Dylan, forse fin troppo pasticcione, ma nel bene e nel male è sempre il motore della narrazione. Promossi a pieni voti anche Groucho e Bloch, il primo assolutamente a suo agio nel piccolo ruolo assegnatogli e il secondo in spolvero come non era da tempo. Leggendo la storia mi sono convinto delle parole di Recchioni, il quale affermava che Bloch, per mantenere il suo ruolo doveva cambiarlo, doveva rinnovarsi per continuare a essere importante. Una menzione speciale la merita anche Jenkins, forse alla sua migliore “interpretazione” di sempre. La ciliegina sulla torta è che alla fine della storia, la Barbato riesce a infilarci anche due nuovi “cattivi” che sono sicuro rivedremo presto.

Eccellente, come sempre, Bruno Brindisi, i suoi disegni si adattano perfettamente al tono della sceneggiatura, e l’autore si trova a suo agio tanto nei dettagli quanto nelle vignette corali e, forse, più impegnative. I personaggi principali sono ritratti in maniera stupenda, anzi esaltati dallo stile di Brindisi. Bella anche la copertina di Angelo Stano che omaggia John Romita senior e l’Uomo Ragno.

In conclusione la svolta sta funzionando, ma essa non è così drastica come si pensava in un primo momento. Se il senso dell’operazione, oltre a far acquisire nuovi lettori a Dylan Dog, è  quello di ritrovare le motivazioni che hanno portato alla nascita e all’esplosione di questo personaggio e riproporle sotto una luce più moderna, in modo tale da garantire ancora tanti anni di vita all’Indagatore dell’incubo, sono totalmente d’accordo.

Personalmente ero un po’ scettico rispetto ai benefici che una tale svolta avrebbe potuto portare, ma la lettura di questi due albi mi ha parzialmente rincuorato.
Spero che si prosegua su questa strada. 

Condividi