DOOM PATROL – Grotteschi Multiversi Inaspettati

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Arrivata forse un po’ in sordina in Italia, Doom Patrol ha conosciuto una seconda ondata di interesse dal momento in cui ha fatto la sua comparsa sulla piattaforma Amazon Prime Video. Nata sulla piattaforma DC Universe come uno spin-off della serie Titans (questa disponibile sulla concorrenziale Netflix), si è dimostrata in grado di muoversi con successo autonomamente nell’ormai sconfinato panorama seriale televisivo, innovando anche alcuni stilemi del genere.

La locandina della serie Doom Patrol.

I fattori che rendono unica questa serie sono pochi e ben definiti. Prima di tutto una serie di “eroi” protagonisti che anche sulle pagine dei fumetti non sono né tra i più conosciuti né tra i più amati da fan. Questo aspetto si è, però, rivelato fondamentale per la messa in scena e il risultato finale. I personaggi sono stati resi facilmente riconoscibili ai fan con un character design di rara fedeltà all’originale, innovando comunque in maniera efficace look e ambientazione. Ci troviamo quindi fin da subito a seguire una serie in cui i protagonisti hanno carta bianca nelle possibilità di espressione del loro potenziale. Questa libertà di intenti e di scopi ha fatto da traino a tutto quello che avviene nelle circa 15 ore di questa serie: un universo parallelo all’interno di un asino, una strada senziente, individui di dubbia moralità in grado di “fiutare” una barba, viaggi all’interno di un cervello abitato da decine di personalità, topi e scarafaggi in grado di far perdere il senno o privi di ogni possibile arbitrio autonomo. Con queste premesse, il risultato può essere solo un successo.

Il cast al completo, in compagnia di un asino.

Altro fattore fondamentalmente positivo della serie è quello dei rapporti interpersonali. Malgrado tutte le loro differenze e divergenze, i personaggi interagiscono in modo originale, istituendo una rete di relazioni che sembra di volta in volta allontanarli tra loro ma che finisce con l’avvicinarli, rendendo credibile tutto quello che decidono di fare (credibilità dovuta anche alle ottime prove d’attore di tutto il cast coinvolto). Bisogna davvero aspettare il finale della serie per vedere qualcosa di anche lontanamente assimilabile ad una sorta di “eroismo”. Che però non fa parte del background di nessuno di questi personaggi e che, anzi, sono davvero degli anti-eroi non per quello che fanno ma per la natura stessa dei loro poteri e del loro essere. Nessuno si aspetterebbe atti di eroismo da un padre di famiglia il cui cervello è intrappolato in un robot privato della percezione del mondo esterno o da una star del cinema anni ’30-’40 posseduta da un’entità che la rende un “blob” privo di controllo, e così via con gli altri personaggi della serie. L’unico vero eroe, anzi, supereroe che ci troviamo tra i piedi è Cyborg. Ma anche lui arriverà a doversi ricredere sia sul suo ruolo da supereroe sia sulla sua stessa esistenza.

Una scena dal set di Doom Patrol.

A farla da padrona in questa serie è sicuramente la venatura di non-sense, lo strambo, il grottesco. In una parola: l’inaspettato. Situazioni e comportamenti sia dei protagonisti che dei comprimari sfiorano a volte l’irrazionale. Ma la questione è che in un Universo fuori da ogni logica, sono necessari comportamenti privi di logica. E questa sembra anche l’idea che gli sceneggiatori e gli showrunner hanno maggiormente sfruttato per portare a casa un risultato sorprendente. Ci sono espedienti narrativi di dubbia utilità che si rivelano essere il colpo di genio definitivo; episodi che formano coppie o cicli, alternati ad episodi il cui scopo è solo quello di presentare qualcuno o qualcosa che sarà poi sfruttato solo nel finale della serie. Il finale è poi quanto di più inaspettato, appunto, si sia mai visto in una serie di questo genere. Fin dal fatto che è un finale diviso in 3 episodi – senza che questo venga mai palesato. L’ultimo dei quali avviene quasi a sorpresa dello spettatore, che si era praticamente convinto di aver assistito alla fine della storia.

Le locandine dedicate ai personaggi.

Un grosso contributo a questa “aspettativa dell’inaspettato” è dato dal personaggio del villain della serie, Mr. Nobody (Alan Tudyk). Dapprima mostratoci come un vero e proprio deus ex-machina in grado di controllare la quasi totalità delle azioni dei protagonisti, col passare del tempo mostra sempre di più le sue psicosi, i suoi traumi, le sue debolezze e la pochezza dei suoi scopi, malgrado l’innegabile minaccia dei suoi poteri interdimensionali. Tra metanarrativa (è infatti il narratore onnisciente dell’intera serie ma spesso si rivolge agli spettatori) e comicità grottesca, è proprio Mr Nobody l’aspetto più originale della serie. Sia perché non è in grado di dare libero sfogo a delle potenzialità che trascendono l’umano sia, appunto, perché troppo ancorato al suo essere umano e vivere di una visceralità vuota e improduttiva. The Chief (Timothy Dalton), Robot Man (Brendan Fraser), Crazy Jane (Diane Guerrero), Elasti-Woman (April Bowlby), Negative Man (Matt Bomer ) e Cyborg (Joivan Wade) possiedono una caratteristica fondamentale che li distingue (forse inconsapevolmente) dalla minaccia che stanno affrontando: hanno fatto i conti con se stessi e col mondo in cui vivono e hanno deciso di non cercare di controllare gli eventi della loro vita ma semplicemente di viverli per come vengono, affrontarli nel miglior modo possibile e con la serenità dei disillusi che sanno che, malgrado tutti i loro sforzi, sconfiggere una minaccia non metterà fine né ai pericoli né alle sofferenze di questo (o di un altro) mondo. Vi invito a vedere, se non l’avete ancora fatto, questa serie perché potrebbe fornirvi un’interessante chiave di lettura della direzione nella quale stanno andando le serie tv di genere supereroistico. Una direzione che, finalmente, porta un po’ di aria fresca al genere e che non vediamo l’ora di rivedere con la seconda stagione.

Mr. Nobody in tutto il suo “splendore”.
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