Altered Carbon (Netflix) My 2 Cents

Disponibile su Netflix dal 2 Febbraio, Altered Carbon ha incuriosito molti spettatori fin dai primissimi trailer. C’è chi ha urlato a Blade Runner 2.0, chi ad un capolavoro già annunciato, fino ai classici scettici che temevano l’operato di Netflix sul lavoro dello scrittore Richard K. Morgan. All’arrivo della serie sulla piattaforma, i social si sono riempiti di commenti e hashtag sulla serie. Andiamo quindi a vedere se Altered Carbon ha rispettato le aspettative o se le abbia deluse (o nessuna delle due opzioni).

Tratta dalla serie di romanzi di Richard K. Morgan (una trilogia formata da Altered Carbon, Broken Angels e Woken Furies), la serie Netflix ha due punti centrali su cui sviluppa tutti i 10 episodi di questa prima stagione: il protagonista Takeshi Kovasc (interpretato nel passato da Will Yun Lee, nel presente del 2384 da Joel Kinnaman) e il trasferimento della propria coscienza in altri corpi. Partiamo col vedere il primo aspetto. Takeshi Kovasc è un ex-militare del cosiddetto Protettorato (un’organizzazione concettualmente simile alle Nazioni Unite, ma molto più militarizzata), il quale ha deciso di abbandonare la realtà militare per prendere parte ad una ribellione. Lo scopo dei ribelli, guidati da Quellcrist Falconer (Renèe Elise Goldsberry), è quello di mettere fine “all’immortalità” delle coscienze umane, spostate di volta in volta in nuovi corpi o “custodie”, sabotando il sistema di trasferimento da un corpo all’altro tramite le “pile” (i contenitori delle coscienze umane). La serie però parte non negli anni della ribellione, ma 250 anni dopo, quando Kovasc viene risvegliato per scoprire chi ha ucciso un Mat, ricchissimi possessori di diversi corpi, tra i primi ad aver avuto accesso al trasferimento. Quello che Kovasc dovrà scoprire è il motivo per cui proprio lui è stato riportato in vita e perché in un corpo nuovo.

Da qui inizia la vera trama di Altered Carbon, tra colpi di scena, uso sconsiderato della tecnologia, realtà virtuale simil-Matrix e tanto, tanto testosterone (a volte, anche nelle donne). Gli aspetti positivi di Altered Carbon, nel complesso, superano quelli negativi, che però pesano non poco e, si spera, possano essere superati da future nuove stagioni. Il primo aspetto positivo è sicuramente l’uso della CGI, molto presente, ma non troppo pesante, realizzato abbastanza bene (e sappiamo quanto Netflix in passato abbia incontrato le ire degli spettatori sulla questione computer grafica). Altro aspetto ben realizzato sono i personaggi caratterizzati in modo coerente: si va dall’evoluzione dello stesso Kovasc a quella di Kristin Ortega (Martha Higareda), a cui fanno da contraltare personaggi più quadrati, tagliati con l’accetta, che non vuol dire necessariamente realizzati male, fra cui i Mat Laurens Bancroft (James Purefoy) e Miriam Bancroft (Kristin Lehman). Ma l’aspetto che più coinvolge e diverte nella serie è indubbiamente l’azione, inserita al momento giusto, solitamente molto violenta perché la violenza del futuro è una sottotrama volutamente accentuata, motivata dal voler rimarcare il concetto di indifferenza nei confronti dell’importanza della vita umana.

Una tematica comune, quindi, in Altered Carbon non è facilmente rintracciabile, ma potrebbe (quasi sicuramente) essere proprio la mancanza di rispetto per la vita altrui contrapposto alla sacralità della vita. A questo proposito trovo che due tra i personaggi più riusciti ci siano Edgar Poe (Chris Conner), intelligenza artificiale che gestisce l’hotel nel quale alloggia Kovasc, e Lizzie Elliot (Hayley Law), figlia di Vernon Elliot (Ato Essandoh), la quale ha subito una violenza che l’ha portata a perdere il proprio corpo, rimanendo incastrata in una sorta di loop virtuale nel quale il padre prova a riabilitarla. Su questi due personaggi possiamo dire che ruota la domanda “cosa ci rende umani”? Se infatti da un lato Poe è il classico esempio di I.A. che vuole essere accettata dagli umani, Lizzie racchiude in sé il concetto di potenziale umano. In altre parole, l’interazione tra i due è il classico esempio, a mio modo di vedere, di quale possa essere un ottimo uso della tecnologia. La creatrice della serie (Laeta Kalogridis) sembra quindi avere un’opinione globalmente positiva degli usi che si possono fare della tecnologia, contrariamente a quello che pensa dell’uso reale che ne fanno gli esseri umani: sfogano le loro perversioni su vittime innocenti, creano finte immagini pubbliche all’insegna dell’umanitarismo e della filantropia, fanno uso della tecnologia per scopi poco rispettosi della vita umana e della società. Non è un caso, credo, se al termine della serie, Lizzie sembrerà nuovamente disumanizzarsi, prendendosi la sua rivincita sul mondo, mentre Poe mostrerà un’umanità unica all’interno della serie.

Alcuni aspetti della serie sono, in primis, la recitazione e l’inspiegabile esistenza di concetti duraturi nel tempo. Con quest’ultima cosa intendo che idee e credenze come Cattolicesimo, Islam e fede verso i Mat non sembrano di facile coesistenza. Soprattutto non si spiega perché un’organizzazione come il Protettorato duri da oltre 250 anni (nel passato esiste e nel presente continua ad esistere), mentre non sopravvivono concetti come le nazioni, gli Stati e la politica (tutto “appallottolato” nel concetto di Terra come pianeta abitato dagli umani). Così come è poco chiaro lo sviluppo dell’esplorazione spaziale: Kovasc viene da un altro pianeta, ma 250 anni dopo (quindi nel 2384) lo sviluppo spaziale non sembra aver cambiato molto le abitudini di vita. Forse non sono aspetti macroscopici, ma personalmente li ho trovati poco coerenti con un’impronta generale che è invece molto interessante. Sicuramente ci sono altri aspetti che non sono stati trattati in questo articolo, quindi vi invito a farmi sapere cosa ne pensate nei commenti. Noi ci rileggiamo prossimamente (e non nel 2384… si spera).

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