Happy Feet – La morale dietro il musical

Un anno prima della realizzazione del film d’animazione Happy Feet, i grandi schermi videro il film-documentario La marcia dei pinguini, un opera interessante e coinvolgente che narra la magica storia dei pinguini imperatore. Come fosse ispirata da questo film, la Warner Bros, con la regia di George Miller e la sceneggiatura di Warren Coleman, John Collee, George Miller, Judy Morris, presenta un vero capolavoro fra i lungometraggi d’animazione, unendolo a un genere che negli USA ha trovato la sua più alta ispirazione: il musical!

A pensarci bene, senza aver visto il film, potrebbe sembrare una comunione bizzarra: pinguini e musical. Certo potrebbero cantare, ma… ballare? Con quel loro aspetto distinto e la camminata ondeggiante non si direbbero degli animali dediti al ballo, eppure un avvenimento simile è già stato visto nel film a tecnica mista Disney: Mary Poppins, un cult del suo genere ed uno dei migliori film Disney mai realizzati, con un cast incredibile (Julie Andrews in Mary Poppins, Dick Van Dyke in Bert e David Tomlinson in Georges Banks, per citarne alcuni) ed una storia che, ancora oggi, fa sognare grandi e piccini. In quel film, infatti, c’è una scena in cui dei pinguini camerieri improvvisano una performance canora e danzerina assieme al mitico Bert. Nel caso di Happy Feat in effetti i pinguini non danzano! Anzi, ritengono tale pratica una blasfemia, ma poi… poi arriva Mambo!

Trama

I pinguini imperatore hanno un’affascinante storia: si conoscono cantando e quando i due canti, o meglio, le due voci si uniscono alla perfezione nasce l’amore. Così avviene per i genitori di Mambo, che sfoggiano due voci bellissime in ricordo di Marilyn Monroe (Nicole Kidman) e di Elvis Presley (Hug Jackman), i quali avranno un uovo. A questo punto inizia una pratica inusuale per molte altre specie di animali: i padri restano a covare le uova, affrontando la notte polare, mentre le mogli vanno alla ricerca di cibo, in luoghi più caldi. Nell’affrontare l’inverno tutti i pinguini maschi si ammassano l’un l’altro, per fronteggiare le bassissime temperature e, in questa comunità, vige una regola sacra: durante la cova, mai far cadere l’uovo, se accade bisogna lasciarlo nella neve, poiché ciò che ne uscirà fuori sarà di cattivo presagio. Purtroppo al padre di Mambo, Memphis (per omaggiare ancora il re del rock Elvis), cade l’uovo; ma questi, contravvenendo alla regola sacra, corre subito a riprenderlo, tentandodi non far scoprire a nessuno l’accaduto.

Dall’uovo nascerà Mambo, un pinguino diverso da tutti gli altri perché incapace di cantare, ma, in compenso, in grado di ballare come Fred Astaire! Purtroppo la società in cui vive non prevede il ballo e, come detto, senza quella che chiamano la canzone del cuore, un pinguino non potrà mai trovare la sua compagna. Così, dopo vari disastri e peripezie per le montagne ghiacciate e per gli abissi marini, Mambo viene esiliato perché ritenuto la causa del male che affligge la società; ovvero la scarsità di pesce nelle acque. Ma il pinguino ballerino troverà la vera causa delle sventure e cercherà di farsi riammettere nel proprio branco. Lo farà per riconciliarsi con la famiglia (in particolar modo per il padre che ha sempre tentato di cambiarlo) e per vivere la sua storia d’amore con Gloria, la cui voce è prestata da Brittany Murphy.

Analisi del film (con possibili spoiler)

Ciò che rende questo film d’animazione (con disegni in CGI) uno dei più bei film della prima decade del 2000, è la leggerezza della visione, unita a dei forti temi sociali e ambientalistici. E, quando questi vengono resi così appetibili e di facile comprensione, vuol dire che si è davanti a un vero capolavoro! Perché è (relativamente) semplice sfoggiare un prodotto d’animazione più impegnativo, trattando i suoi temi con immagini altrettanto serie, ma è molto difficile applicare temi seri, che fanno riflettere, a immagini allegre adatte a tutte le fasce d’età.

Ciò che ho sempre criticato (con un parere strettamente personale) nei lungometraggi animati dell’ultimo decennio, è stata la loro grande leggerezza nelle tematiche, il loro humor composto da gag comiche prive di sarcasmo e umorismo; il loro voler, insistentemente, puntare sull’antifiaba, scardinare tutti i cliché che rendono quel tale personaggio cattivo o buono, sul rovesciamento di ruoli ecc. ecc.. Certamente, fra tutti quelli della decade passata, ne spuntano fuori alcuni che vanno annoverati come veri e propri capolavori, ma, in generale, è stata questa la tendenza; tendenza che fortunatamente non ritrovo in Happy Feet.

In primo piano c’è il musical fatto, non con canzoni originali (e forse questo è l’unico difetto), ma comunque riarrangiate in modo incredibile. Il repertorio spazia dal rock dei Queen, a quello di Elvis Presley, a quello dei Beach Boys, dallo ska al rap latino-americano e messicano, al pop fino ad una versione che mixa più lingue della canzone My Way, interpretata da uno scatenatissimo Robin Williams. Da sottolineare la performance vocale dell’attrice/doppiatrice/cantante Brittany Murphy di Somebody to love e Boogie Wonderland. Se un’attrice incantevole come Nicole Kidman aveva già dato sfoggio alle sue doti vocali in “Moulin Rouge”, ottenendo un grandissimo successo, l’attore Hug Jackman, famosissimo per essere l’incarnazione vivente di Wolverine, non aveva ancora avuto modo di fare altrettanto (occasione che gli si è presentata con il musical Les Miserables). 

Tutte le canzoni, nel lungometraggio, vengono coreografate da una regia impeccabile che danza al posto dei pinguini e continua a farlo, anche quando tutti avranno imparato a danzare seguendo i passi di Mambo.

Una delle scene musicali più belle è certamente quella con la canzone Somebody to love e quella con Do it again dei Beach Boys. In quelle scene i pinguini eseguono il loro rito di passaggio all’età matura che viene segnata da una manifestazione simile a quella della laurea americana; con la differenza che, invece di lanciare in aria i famosi cappelli quadrati, i pinguini, che hanno subito la muta delle piume, lanciano in aria le vecchie piume bianche per consacrare le nuove nere. Immediatamente dopo, sono liberi di fare il primo passo importante per il loro mondo: tuffarsi in acqua e provare a pescare, superando le insidie marine. Subito dopo, di sera e per tutta la notte, i pinguini maturandi si riuniscono su di un iceberg per festeggiare tutta la notte cantando; e, più il canto sale di intensità, più le aurore boreali illuminano il cielo.

Dietro tutto questo ballare e cantare, però, ci sono delle tematiche scottanti. Imperativi che vanno sottolineati per chi, ad una prima disattenta visione del film, potrebbe non coglierli appieno.

1) La questione ambientale: i pinguini non hanno più molto pesce, stanno vivendo una grossa carestia e tutto per colpa degli umani che raccolgono troppo pesce dal mare sottraendolo agli animali. Quasto rende tutta la catena alimentare molto instabile. Infatti gli altri predatori, marini o volatili, si accaniscono sui pinguini proprio a causa della scarsità di pesce. Ma ciò è solo un esempio, uno fra i tanti per far capire all’uomo che i suoi abusi contro la natura portano gravi danni alle altre specie viventi della Terra, compromettendo l’ambiente e quindi rischiando di portare anche molte specie verso l’estinzione.

2) La denuncia contro gli zoo: Mambo, fuggito dal polo per inseguire gli umani, viene ritrovato stramazzato su di una spiaggia americana, dove viene avvistato e subito condotto nello zoo della città, rinchiuso con altri pinguini; ma lo zoo, in questo caso, è ben lontano dall’essere ciò che Madagascar ha mostrato nel suo film d’esordio. La gabbia, l’habitat e gli stessi pinguini che vi stanno dentro, non hanno nulla di naturale. La luce che riflette dai vetri è d’un candore irreale, i limiti della gabbia contrastano con i vasti spazi che in precedenza si erano visti nel film. I pinguini non fanno altro che restare immobili a contemplare qualcosa che non c’è, attendendo il cibo che non dovranno più cacciare nuotando abilmente nell’oceano, ma che gli arriverà direttamente dall’alto come una grande pioggia di pesce. Anche Mambo, dopo alcuni mesi di permanenza, perde la sua brillantezza e sembra quasi come se gli avessero tolto ogni desiderio di vita.

3) La religione: il film si scaglia anche contro la religione e la fede cieca in qualsiasi mito; che sia reale o che sia fantastico. Poiché, se da un lato offre risposte ai grandi dubbi della vita, pone basi e regole per una pacifica convivenza e per mantenere “pura” la società; dall’altra concede troppi poteri a chi si fa portavoce della divinità ed esclude qualsiasi tentativo di andare oltre ciò che si fa. Infatti, i pinguini non credono a Mambo quando rivela di aver incontrato gli alieni (ovvero gli umani), perché non riescono a smuoversi dall’idea bigotta che sia il loro dio a non dargli cibo, per punirli a causa dell’anomalia che è Mambo nella loro società.

4) Critica alla società: questa, in Happy Feet, non tollera il diverso. E’ una società bigotta e borghese che non esce dagli schemi su cui è costruita e non sa riconoscere il valore del singolo (in tal caso Mambo). Non valorizzando il singolo, infatti, la stessa società si conduce verso l’autodistruzione e la morte. Una morte che oggi giorno (se vogliamo fare un raffronto con la nostra società) sta già avvenendo in campo culturale umanistico e artistico. Difatti, se Mambo non avesse avuto questa anomalia, gli uomini non si sarebbero mai resi conto del danno che, involontariamente o non, stavano arrecando alla stirpe dei pinguini. E’ il diverso, l’inusuale, la novità, l’originalità a dare al mondo la possibilità di sopravvivere, poiché con la morte dell’Arte (riproponendo il parellelismo con la nostra società) e della Cultura in generale, muore anche la società, che si corrompe, perde i suoi valori principali, perde le sue basi e precipita verso ere oscure.

Altri aspetti, meno rilevanti, ma comunque simpatici da sottolineare, sono ad esempio la differenza tra i popoli del nord e quelli del sud. In Happy Feet avviene sottolineando le due differenti razze di pinguino: i pinguini imperatore, che abitano nelle zone più ghiacciate del Polo, e i pinguini papua che abitano più a sud e sono più bassi di statura. Quest’ultimi, rappresentati con la parlata tipica messicana, sono molto più caotici, allegri e spontanei, persino la loro camminata è più buffa rispetto a quella dei pinguino imperatore; ed è in essi che Mambo troverà il suo gruppo di amici fidati, pronti a seguirlo fino ai confini del Polo.

Originale è anche l’idea di non far conoscere gli umani agli animali e di descriverli secondo il loro punto di vista.

Sempre riguardo gli umani, nel lungometraggio si è deciso di non disegnare gli umani in CGI ma applicare la tecnica mista, quindi farli interpretare da veri uomini. Il contrasto visivo che si crea fra il mondo animato degli animali e quello reale degli uomini è davvero sorprendente.

Insomma, Happy Feet è un film con grande morale di fondo, che non disdegna il divertimento. Un film dal ritmo sfrenato che affronta temi sociali, unendoli ad una incantevole e fiabesca storia d’amore.

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1 commento su “Happy Feet – La morale dietro il musical

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