Superman Alieno Americano, l'All-Star Clark Kent di Max Landis

Vale la pena leggere Superman: American Alien? Sì.

E adesso vi spiego perché. Mettetevi comodi, sarà una roba lunga.

(A salvarvi dagli sbadigli ci sarà Amy Adams.)

Molto tempo fa, reo di una profonda superficialità, ho scritto brevemente le mie impressioni sul Primo Numero della Mini-serie di Max Landis definendolo come una totale delusione. Complici il piacevole ricordo di The Death And Return Of Superman, scritto ed in parte interpretato dallo stesso Landis, la struttura stand-alone di ogni episodio, la pletora di artisti strepitosi coinvolti nell’opera e la pura curiosità, ho deciso di proseguire la lettura mese dopo mese nonostante il pessimo impatto con il capitolo iniziale.

E ho capito che stavo guardando American Alien dall’angolazione sbagliata.

Prima di tutto una domanda: chi è Max Landis?


Amy vorrebbe delle risposte

Max Landis è un fanboy. È un figlio d’arte, uno scrittore, uno sceneggiatore, un regista, un produttore, un consulente per la WWE Raw ma, ancor prima di tutti questi appellativi professionali, Max Landis è un fanboy. L’amore viscerale per il genere supereroistico e la sua peculiare tipologia di narrazione tappezza la maggior parte dei suoi lavori più significativi, a partire dallo script dell’osannato Chronicle sino ad arrivare alla passione per il Wrestling, probabilmente lo show televisivo che più si avvicina agli eroi in calzamaglia che tanto veneriamo.

Ogni fanboy del supereroistico che si rispetti ha un debole per un determinato personaggio, dal nerd sprovveduto della prima ora al quarantenne attempato  che “i Metallica dopo il Black Album fanno cagare”. Un debole che prescinde dalle storie che vengono narrate su di esso, basato unicamente sulle idee e i concetti che il personaggio incarna e rappresenta. Nel caso di Max Landis si tratta di Clark Kent.


Sì, anche il tuo orecchio è bellissimo

Perché Superman senza Clark Kent non esiste. E di questo Max Landis ne è pienamente cosciente. Proprio come il capolavoro cinematografico di Richard Donner del 1978 era stato in grado di predicare in tempi non sospetti, ciò che rende questo personaggio una figura mitologica moderna è proprio l’impossibilità nello scindere le due identità. E non è possibile farlo perché Superman non presenta dicotomie. Non è un orfano miliardario che indossa il suo trauma per seviziare criminali nel buio. Non è un avvocato cattolico cieco che veste i colori del demonio per appagare il suo senso di giustizia. Non è niente di tutto questo.

Superman è solo Clark Kent senza occhiali.

Sulla base di questa profonda consapevolezza, Max Landis definisce il suo American Alien come l’Anti-All Star Superman. E lo fa perché, come dichiarato dallo stesso autore, l’opera di Grant Morrison & Frank Quitely è la visione moderna definitiva dell’Uomo D’Acciaio e, in virtù di questa sua affermazione, non si può prescindere da essa se si vuole raccontare una storia sull’immigrato clandestino più famoso dei fumetti. Landis pesca a piene mani dall’immaginario fornitogli dall’autore scozzese, così affine alla sua concezione del personaggio, per riproporlo da un’angolazione narrativa differente. Se All-Star Superman rappresentava un’epica incursione supereroistica nelle fatiche erculee, American Alien è invece il percorso che ci spiega le motivazioni per cui quell’epica è stata possibile. Ovvero come Clark Kent ha scoperto di essere Clark Kent e perciò Superman.

In sintesi: le idee e le intenzioni sono in realtà le stesse, cambiano semplicemente il linguaggio e le modalità con cui esse vengono proposte al lettore.

Sì ma ‘sto fumetto com’è? Li devo spendere così ‘sti 20€ o me li fucilo in Jack Daniel’s al letamaio di Via Cirrosi?

Cerchiamo di capirlo.


Lei invece vorrebbe capire perché sono qui e non in quel letto a farle compagnia

Superman: American Alien raccoglie sette momenti della vita del Kryptoniano, dalla sua infanzia in una fattoria del Kansas sino ai suoi esordi nei panni dell’Uomo D’Acciaio nella città di Metropolis. Il punto cruciale che Landis sottolinea in ognuno di questi episodi, non è quanto questi eventi abbiano reso Clark Kent quello che noi tutti oggi conosciamo, essi rappresentano piuttosto una presa di coscienza del protagonista di quello che è sempre stato e sarà per sempre. Nel corso dell’opera comprendiamo quanto Clark Kent non è diventato ciò che voleva essere quanto più quello che realmente è. Una differenza apparentemente molto sottile, in grado però di marcare ineluttabilmente il divario tra Superman e la maggior parte degli eroi che lo circondano.

Il Clark Kent di American Alien è perfettamente umano senza perdere nessuna delle caratteristiche divine che rendono Superman un mito moderno. Questo ci viene mostrato da Landis in ciascuno degli episodi grazie ad uno storytelling che non bada alla linearità, quanto più alla coerenza nelle tematiche cardine della serie: identità e crescita personale, fisica ed emotiva.

Fulcro della narrazione di Max Landis sono i dialoghi: che si tratti della prima sessione di volo di un giovanissimo Clark o di un brutale scontro contro un alieno in motocicletta, a farla da padrone sono le parole che l’autore utilizza per esprimere la sua visione. Ogni Capitolo, ciascuno intitolato con il nome di un volatile, basa le sue fondamenta sugli scambi tra il protagonista e i personaggi che gli gravitano attorno.


Capite il sottotesto?

Se nel primo numero, il più debole della serie, l’autore risulta eccessivamente verboso e spesso irritante, il resto dell’opera diventa un crescendo che raggiunge il suo picco nel quarto capitolo, durante il primo incontro fra Clark Kent e Lex Luthor, un momento in grado di definire in maniera impeccabile l’abisso che separa le due personalità. L’attenzione ai dialoghi e alla caratterizzazione dei personaggi, elementi fondamentali dell’opera, riflettono una volontaria astensione dal tessere un filo conduttore della serie a livello di pura trama. Ogni evento è semplicemente un pretesto per mostrare azioni e reazioni delle figure che popolano le pagine del fumetto.

Gli artisti coinvolti in American Alien non sono soltanto strepitosi. Ad eccezione di un Nick Dragotta dall’approccio eccessivamente cartoonesco, in totale contrasto con lo script di Landis, ogni capitolo presenta un artwork incredibilmente azzeccato  sia per le tematiche che per l’atmosfera. Tommy Lee Edwards rappresenta alla perfezione l’adolescenza di Clark Kent e il primi contatti delle sue abilità con il mondo esterno. Lo Yacht Party con risvolti romantici di Joelle Jones è forse l’apice artistico dell’intera serie, seguito da un Jae Lee che dirige il primo incontro tra Lex e Clark come un film girato in bullet time, in grado di cogliere la lucida follia psicotica negli occhi del villain. Francis Manapul e Jock disegnano i due capitoli più action della serie, mostrando i due volti della lotta supererostica tramite la loro arte: il primo caratterizzato da una pulizia in grado di mantenere l’ordine anche nelle scene più concitate, il secondo torbido a tal punto da riuscire a trasmettere in ogni pagina la violenza dello scontro. Tra questi ultimi due si inserisce Jonathan Case che fa quello che gli riesce meglio: rappresentare verosimilmente i rapporti tra esseri umani.


Amy Adams che finalmente accetta la mia proposta di matrimonio

Max Landis ama Superman e questa sua opera ne è la prova. American Alien è una lettura obbligata per tutti coloro che amano la purezza di un personaggio che compie le sue scelte unicamente in base alla sua natura. È una lettura obbligata anche per tutti coloro che detestano l’apparente inconciliabilità di Superman con il reale. American Alien è una perfetta rappresentazione delle idee cardine che definiscono l’Uomo D’Acciaio.

Vale la pena leggerlo anche solo per questo. 

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