TWR la (psico)analisi de "Lo Chiamaveno Gig Robò"

Nelle ultime settimane si è parlato molto dell’uscita nelle sale di Lo Chiamavano Jeeg Robot o meglio Lo Chiamaveno Gigghe Robò, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti. Se ne é parlato tanto perché la campagna pubblicitaria ha funzionato, perché, con la fame di cinefumetti che c’è, l’idea di un supereroe nostrano e coatto acchiappava parecchio ed infine perché ha fatto promozione del film anche il breve fumetto uscito in edicola. Fumetto che, a dire il vero, tracima spoiler sul film e sarebbe andato benissimo come inserto gratuito di una rivista di cinema, ma assolutamente non come iniziativa editoriale a se stante (come dice l’odioso Trollo qui). 

Per Mainetti si tratta dell’esordio sul grande schermo, ma il giovane (attore e) regista romano è stato già autore di due cortometraggi che potete vedere online: Basette con Valerio Mastrandrea e, soprattutto, Marco Giallini nei panni di un eccellente Jigen…

e Tiger Boy

Guardateli entrambi, ne vale la pena.

Da questi suoi primi, già validissimi, lavori traspaiono i due capisaldi del Mainetti-pensiero: i cartoni animati giapponesi anni ’70-’80 ed i delinquenti di borgata. Quindi non stupisce che sia venuto fuori Lo Chiamavano Jeeg Robot, il primo supereroe borgataro e coatto der cinema italiano. Questa strana idea di mettere nello stesso calderone Febbre da Cavallo, Romanzo Criminale e Batman, a conti fatti, ha dato vita ad un mash-up vincente ed assolutamente inedito per il cinema nostrano. E, a proposito di Febbre da Cavallo, nel film di Mainetti c’è anche Stefano Ambrogi, l’attore che interpetava il terribile Cozzaro Nero ne La Mandrakata (‘na chicca proprio!).

L’ossatura della sceneggiatura scritta da Nicola Guaglianone è quella di una tipica origin story da supereroe: un delinquente per sfuggire alla polizia si tuffa nel Tevere ed entra in contatto con delle scorie radioattive (un’ipotesi tutto sommato plausibile visto l’inquietante colore delle acque del Tevere). Ma qui viene il bello, perché Ceccotti Enzo – e già l’idea che un uomo di nome Ceccotti Enzo possa avere dei superpoteri, per quanto mi riguarda, è un vero sballo – diventa ‘na specie de Daredevil de tor Bella Monica. Li mortacci sua! Tra pornazzi ed indigestioni di yogurt, Enzo dovrà vedersela a più riprese con lo Zingaro, aspirante boss della mala con un passato da imitatore a Buona Domenica.
Proprio questo mischiare i topoi classici del fumetto supererositico con una serie di situazioni di spiccata ignoranza tutta italiota ha reso Lo Chiamavano Jeeg Robot un film decisamente originale e spassoso che, fortunatamente, non ha come imperativo quello di dover piacere alla categoria ‘famiglia con bambino under 10‘. E poi, paradossalmente, il film di Mainetti riesce a dare uno spaccato del nostro paese molto più plausibile delle tante insignificanti e stereotipate commedie prodotte in Italia.

Le premesse per una storia avvincente c’erano tutte, ma il film funziona anche perché il comparto tecnico e recitativo è di ottimo livello. Il burbero e pompatissimo Claudio Santamaria ed il carismatico Luca Marinelli sono immensi, entrambi perfettamente nella parte, così come Ilenia Pastorelli nei panni dello svampito interesse amoroso del protagonista. La regia è sempre ispirata ed il citazionismo nerd (come dicevo più su, si vede che Mainetti mastica fumetti, anime e compagnia bella) non è mai fine a se stesso ma sempre funzionale e ben integrato con le atmosfere del film. Un piccolo rimprovero mi sento di farlo sul finale che avrebbe potuto concentrarsi di più sull’inevitabile scontro campale tra i due protagonisti, scontro che invece è un po’ strozzato dal terzo ingombrante protagonista del film, la Città di Roma, ed in particolare dal più grande simbolo della romanità: il colosseo il derby Roma Lazio. Ma, tutto sommato, va bene anche così. 

Menzione d’onore anche per la soundtrack, sia per le musiche originali (anche queste di Mainetti), che per la scelta dei brani ed infine per le cover: Marinelli che canta Anna Oxa è da Telegatto (per restare in tema) ed anche la storica sigla di Jeeg Robot d’Acciaio interpretata da Santamaria ha il suo bel perché:

Insomma Lo Chiamavano Jeeg Robot è un film fatto con passione da un appassionato che sa il fatto suo. Una pellicola destinata a diventare un piccolo cult che, per dirla come un giudice di Masterchef, ti lascia la bocca buona. C’è da augurarsi che non resti un caso isolato; spero di rivedere presto Mainetti all’opera e, soprattutto, spero di incontrare di nuovo quel borgataro incazzato di Enzo Ceccotti in un sequel o, perché no, anche in un adattamento seriale: un procedurale coatto con Enzo di fronte a criminali sempre nuovi (ed altrettanto coatti) non sarebbe male. Netflix, ad esempio, sta realizzando un serial basato su Suburra di Stefano Sollima e considerando sia l’ottimo riscontro mediatico del film di Mainetti che l’attenzione del colosso USA verso i nuovi talenti anche al di fuori degli States, chissà…  

Io incrocio le dita e intanto mi domando: Ah Gig Robò, ma quanno se ribeccamo?

Se intanto me volete ribbeccà a ‘mme, qua sotto ce stà la mi’ paggina Facebbook. Daje.

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