Thank God Is Wednesday 9 – Reducio!

Dopo aver lanciato un efficace incantesimo di riduzione, Thank God Is Wednesday si ritrova ad affrontare alcuni tra i fumetti più interessanti di questa settimana. Questa Nona Incarnazione della rubrica si fa ristretta perché… ve lo spiegherò al termine dell’articolo! Via con le recensioni!

Jupiter’s Circle #1 – Millar/Torres
Remember When You Were Young

 

Dopo il disastroso Chrononauts #1, Mark Millar torna con una nuova prima issue che assomiglia molto più ad un pilot per una serie televisiva piuttosto che ad un fumetto vero e proprio. Conclusosi Jupiter’s Legacy, cinque issues uscite in due anni, l’autore si trasferisce nel 1958 per narrare le avventure del supergruppo The Union, formato da parenti e genitori dei protagonisti di Jupiter’s Legacy. Un prequel in tutto e per tutto che si dimostra discreto a gradevole nonostante non brilli per originalità.

L’apparente clima giocoso e Golden Age di Jupiter’s Circle si affianca alla realtà americana degli anni ’50, fatta di conservatorismo ed intolleranza. Millar decide volontariamente di lasciar spazio alle identità segrete durante la narrazione, senza focalizzarsi eccessivamente sugli alter-ego mascherati e senza nemmeno dare al lettore indicazioni dirette sui loro “nomi da battaglia”, tranne per il protagonista Blue-Bolt. La trama in JC#1 si concentra proprio su Richard Conrad (Blue-Bolt) e sulla sua omosessualità: in un’epoca come gli anni’50 il protagonista è costretto a mantenere segreto il suo orientamento sessuale ed è proprio sul suo rapporto con questo segreto in un mondo che non lo accetterebbe che si focalizza questa issue. L’approfondimento del suo personaggio è trattato in maniera apparentemente leggera ma Millar è comunque attento a coglierne le sfumature più importanti.

 

L’attenzione per Conrad e la sua vita privata porta inevitabilmente i restanti personaggi a risultare dei semplici comprimari. Se da un lato questo rende Jupiter’s Circle un fumetto a sé stante, apprezzabile anche da coloro che non hanno mai toccato Jupiter’s Legacy, per gli appassionati è fastidioso osservare quanto determinati personaggi abbiano così poca rilevanza. Non è presente nemmeno un vero accenno alla loro personalità: le loro poche battute si riducono ad essere un semplice strumento per delineare al meglio il setting, informazioni utili al lettore per immergersi nel 1958.

Wilfredo Torres cattura alla perfezione quello spirito Golden Age che Millar ha voluto infondere al suo racconto: la sua semplicità si mescola con un gusto retro che porta JS#1 a livelli altissimi dal punto di vista artistico. Lontano dalle possenti muscolature e dalle aderenze che esse portano sulle divise, Torres ci presenta dei costumi poveri di particolari e malamente costruiti e si allontana dagli stilemi delle rappresentazioni moderne per mostrarci uomini in calzamaglia che risultano, esattamente come sarebbe nella realtà, semplicemente ridicoli.

 

Jupiter’s Legacy #1è una buona issue di debutto che non spicca per originalità ed equilibrio ma che immerge il lettore negli anni ’50 americani e regala anche un paio di camei proprio di personaggi celebri di quell’epoca. Dalle prossime issue ci si aspetta una maggiore attenzione per i co-protagonisti e un ritmo lievemente più rapido che possa portare la narrazione a livelli più alti.

 

Rebels #1 – Wood/Mutti/Bellaire
It’s On Your Dress

 

Brian Wood torna a parlare di America ma, a differenza di DMZ, questa volta lo fa mescolando intimità e nostalgia riportandoci al 1775 e seguendo la storia di Seth Abbott durante gli inizi della Guerra d’Indipendenza Americana. In Rebels, come in altri suoi lavori, Brian Wood ha intrapreso un accurato studio di quel periodo storico per poter rendere questa serie verosimile senza cadere nel divulgativo. Il risultato è un fumetto storico intenso e di grande impatto che preferisce focalizzare le sue attenzioni sulle conseguenze e le reazioni delle piccole comunità alla guerra e alle Giubbe Rosse.

Nonostante si sia pontificato tanto sul periodo storico della Guerra d’Indipendenza, Rebels riesce a non cadere nel tranello del patriottismo fine a sé stesso mostrando uomini semplici, fattori che non lottano per le classiche ideologie come la patria e la bandiera ma solo per il diritto di vivere le vite che erano state loro promesse nelle terre che legalmente possiedono. Tralasciando determinati eventi di grande importanza, Brian Wood rende chiare le sue intenzioni nel mantenere il periodo storico in cui sta ambientando la serie come un semplice ed accurato background in cui muovere i suoi personaggi, portando la narrazione ad un livello molto più intimo e personale.

 

Nel corso della issue seguiamo il protagonista in tre momenti fondamentali della sua vita. Inizialmente osserviamo una scena famigliare tra un giovanissimo Seth Abbott, suo padre ed un’arma da fuoco ed è probabilmente il meglio che Rebels #1 ci offre: calma e saggezza, intimità e disciplina osservati attraverso il mirino di un moschetto. Successivamente si passa ad una feroce schermaglia in cui sono coinvolte le Giubbe Rosse Britanniche e qui sono gli ottimi dialoghi che vincono a man bassa: proprio come in Northlanders, Brian Wood è stato in grado di rendere i dialoghi di Rebels coerenti con il setting senza però farli risultare datati e pesanti nella lettura. Nell’ultima sequenza troviamo Seth e Mercy che pongono le basi per quello che, come già annunciato precedentemente dall’autore, sarà un tema centrale nella sua serie: la famiglia. I tre passaggi si amalgano bene tra loro e al termine della issue la sensazione è quella di aver appena letto un’opera che con il tempo diventerà grandiosa.

 

Andrea Mutti, già apprezzato in Evil Empire di Max Bemis, contribuisce nel dare a Rebels una sensazione di autenticità e realismo grazie alla mole di dettagli che immette nel suo comparto artistico di elevatissima qualità. Perfetta è la caratterizzazione estetica dei personaggi, tutti facilmente distinguibili e particolareggiati, che esprimono appieno le loro emozioni attraverso i loro volti incredibilmente espressivi. Combinato con l’abilità dell’instancabile Jordie Bellaire, Rebels riesce ad ottenere quel feeling da Western che si sposa perfettamente con il setting della Guerra D’Indipendenza Americana.

Rebelssarà una serie da tenere d’occhio: l’amore viscerale per la storia che traspare dalle opere di Wood e la sua accuratezza nel delineare l’ambientazione miscelata all’intensità raggiunta grazie alle matite di Mutti e Bellaire potrebbero portare questa serie nel futuro olimpo del fumetto. Incredibilmente promettente.

 

Savior #1 – McFarlane/Holguin/Crain
Emptiness Is Loneliness

 

Savior è un fumetto che provoca emozioni contrastanti: in quest’ultima fatica targata Todd McFarlane si alternano alti e bassi che rendono difficile un giudizio preciso. Questa estrema difficoltà è dovuta ad una semplice questione: gli elementi che rendono questo fumetto interessante e affascinante sono gli stessi che purtroppo lo affossano e non gli permettono di spiccare il volo. La protagonista di Savior è Cassie, una reporter che non compare sin dall’inizio della issue per dar spazio al cosiddetto “Salvatore” che dà il nome alla serie. La sequenza di apertura è significativa: una quantità industriale di giornalisti circonda il misterioso soggetto ed è interessante soffermarsi a pensare quanto questa situazione sia una metafora ed un parallelismo con la struttura della issue. La presentazione della protagonista è rinviata a qualche pagina dopo, come se anche il lettore stesso volesse comportarsi come la folla che circonda il Salvatore, come se fosse lui l’unica cosa che conta.

 

Lo storytelling di Savior #1 è molto originale: quasi ogni pagina è una splash-page che funge da sfondo a quelli che sembrano schermi televisivi in cui vengono narrate le vicende dei personaggi. Nonostante questo metodo sia coerente con gli intenti di Savior e il fotorealismo digitale di Clayton Crain sia molto d’aiuto a definire l’atmosfera, leggere in questa maniera una intera issue è incredibilmente stancante. Personalmente ho trovato fastidioso questo storytelling per la conseguente brevità della issue e per la possibilità di una serie che in futuro diverrà eccessivamente decompressa. Questo aspetto rappresenta al meglio il dualismo che caratterizza Savior#1: se da un lato la metodologia utilizzata per la narrazione ha qualche spunto originale, sappiamo benissimo quanto le caratteristiche su cui essa si basa siano il cancro del comics moderno.

I dialoghi sono di buona qualità ma spesso si ha la sensazione che non siano i personaggi, con la loro personalità e la loro caratterizzazione, a parlare quanto più l’autore stesso che utilizza dei fantocci creati ad hoc per permettere a se stesso di esprimere una sua opinione. Tra l’altro, uno dei dialoghi in questione è fra i migliori dell’intera issue ma la sensazione che il personaggio che lo pronuncia sia eccessivamente freddo è troppo forte.

 

Clayton Crain, come abbiamo già detto in precedenza, utilizza il suo solito stile digitale tendente al fotorealismo e compie un ottimo lavoro sia nella rappresentazione dei personaggi che nella narrazione. Grazie all’artista, Savior diventa un fumetto incredibilmente d’impatto e capace di colpire ogni senso a nostra disposizione con l’incredibile quantità di dettagli presenti sulle sue pagine.

Leggendo Savior#1 non è semplice comprendere quali siano precisamente i suoi obiettivi. Per ora è evidente quanto il comparto artistico sia fondamentale per la serie, dimostrazione di quanto Todd McFarlane sia coinvolto nel progetto, ma non è facile giudicare una issue di preparazione e costruzione che purtroppo non riesce ad offrire al lettore nessun indizio per poter comporre il puzzle che il team creativo ci sta proponendo. Nonostante questo la curiosità è tanta e forse con il prossimo numero sarà possibile formulare un’opinione più precisa.

 

Miles Morales: The Ultimate Spider-Man #12 – Bendis/Marquez
I Know It’s Over

 

Nel lontano Ottobre del 2000 Brian Michael Bendis e Mark Bagley iniziavano quella che sarebbe stata una delle run più lunghe ed epiche che il mondo supereroistico avesse mai visto: Ultimate Spider-Man. Mercoledì 8 Aprile 2015 lo stesso Bendis, accompagnato da David Marquez, mette un punto alla sua monumentale opera chiundendola per sempre. È una chiusura al contempo splendida e amara: Miles Morales#12 è l’ennesima issue di elevatissima qualità della serie ma è anche l’ultima che vedrà l’intero universo Ultimate muoversi in maniera indipendente prima della fine, prima di Secret Wars. Con la chiusura di questa testata la Marvel perde la serie più costante dal punto di vista qualitativo, quasi quindici anni di storie favolose.

Bendischiude in bellezza lo story-arc che coinvolge l’organizzazione Hydra, Dr Doom, il tradimento di Kate Bishop e il rapimento di Miles Morales, gettando nella mischia anche gli All-New Ultimates formati da Kitty Pride, Bombshell, Cloack & Dagger. Il protagonista è favoloso come al solito: energico, dinamico, coraggioso ed incredibilmente positivo, in questa issue mostra ancora di più gli artigli abbandonando ogni restrizione ed inibizione. I comprimari che accompagnano Miles sono caratterizzati in maniera perfetta e godono di momenti favolosi nel corso di MM#12, una issue che fa del ritmo frenetico e rapido al punto giusto il suo punto di forza. Nonostante questa velocità nella narrazione ogni personaggio svolge un ruolo fondamentale e nessuno rimane in ombra. Un onorevole tributo al cast della serie che potrebbe non sopravvivere alla fine dell’Ultimate Universe.

 

David Marquez ancora una volta stupisce tutti: i suoi personaggi sono dinamici ed espressivi. Questa energia permea tutta la issue così come è sempre successo nella serie, rendendo Miles Morale: The Ultimate Spider-Man una testata la cui lettura è sempre un’esperienza. L’intero team creativo raggiunge il suo apice nelle prime pagine della issue con il fenomenale monologo del Dr Doom: una splash-page incredibile che fa del cut-up il suo più grande pregio artistico, intervallando le numerose vignette con l’invettiva del Villain nei confronti di Miles Morales.

Una delle run migliori degli ultimi vent’anni ci lascia per sempre ed il mondo fumettistico non sarà più lo stesso. Bendis ci regala un ultimo numero immenso e non trattiene la sua ironia sulle motivazioni di questa fine. Grandioso.

 

Thank God Is Wednesday 9 è arrivato al termine e vi spiega le motivazioni per l’incantesimo di riduzione: Convergence! In realtà la rubrica non si ridurrà ma addirittura si espanderà con TGIW 9.1 proponendovi la recensione di Covergence #1 e una classifica dei vari tie-In dedicati all’evento DC Comics.
Stay Tuned!

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