Thank God is Wednesday 4 – Lemire Week

Benvenuti e bentornati al consueto appuntamento settimanale con Thank God Is Wednesday! Mentre tutti erano impegnati a gingillarsi sul nuovo trailer di High School Musical, consigliando a Francis Ford Coppola di ringraziare l’esistenza della Mafia per avergli permesso di girare Il Padrino… un attimo, forse sto facendo un po’ di confusione… comunque, non perdiamo altro tempo! Partiamo subito con le recensioni! 

Big Man Plans #1 (of 4) – Powell/Wiesch
Cosa Vuol Dire Avere Un Metro E Mezzo Di Statura

Nato sotto una cattiva stella e affetto da nanismo, la vita del protagonista di Big Man Plans è stata un inferno sin dalla sua nascita. Svuotato, distrutto, privato della sua umanità è mantenuto in vita dal desiderio di vendetta e dalla sua rabbia esplosiva. Dopo aver perso l’unica figura positiva di tutta la sua vita, il nostro Big Man affronta pessime situazioni una dopo l’altra: orfanotrofio, arruolamento ufficioso in un progetto top-secret dell’esercito americano durante la guerra in Vietnam e annesso addestramento inumano. Terminata la sua esperienza sul campo di battaglia, Big Man viene rispedito al mittente e la sua vita non ha più uno scopo.

Big Man Plans #1 non ha paura di dare pugni nello stomaco e calci nei denti al lettore. È un fumetto malvagio sino al midollo e lo dimostra proprio il protagonista: un essere umano reso disgustoso e disumano dalle sue esperienze, un uomo che sin dalla nascita non ha avuto nessun’altra chance. Narrata in prima persona, la issue è un viaggio nella contorta psiche del Grand’uomo e nel suo passato, fortemente character-driven e incredibilmente melodrammatica nel suo svolgimento. I suoi flashback non risparmiano al lettore momenti shockanti e d’impatto e i brevi intermezzi ambientati nel presente non lasciano scampo al protagonista, dipingendo un reietto che mai troverà pace nella sua vita. Il tono tetro e noir della narrazione è accompagnato dalle grottesche matite di Eric Powell, co-autore ed artista, in grado di rendere potente ed autoritario un personaggio di piccole dimensioni come Big Man. Il paradosso è proprio il fulcro dello storytelling, capace di fondere una rappresentazione della violenza esagerata e innaturale ad una fenomenale capacità di character design. Le espressioni facciali e l’emotività delle scene toccano il lettore ed è impossibile rimanere indifferenti di fronte alle strazianti scene silenziose che coinvolgono il protagonista.

Big Man Plans #1 vive di contraddizioni: è grottesco ed intenso, drammatico ed ironico. Mettere in scena un personaggio negativo come il protagonista di questa miniserie e contemporaneamente riuscire a provocare nel lettore una certa empatia nei suoi confronti non è semplice. Proprio per questo Powell e Wiesch hanno dato il via ad una miniserie che si preannuncia incredibilmente interessante e di ottima qualità.

 

Neverboy #1 – Simon/Jenkins/Fitzpatrick
Sitting In Is Never Land 

L’idea alla base di Neverboy è estremamente interessante ed originale: un amico immaginario che utilizza farmaci e droghe per rimanere reale e tangibile. Un concept impressionante, un forte paradosso dato lo scopo per cui di solito vengono utilizzati gli stupefacenti, ovvero evadere dalla realtà. Il risultato di questo esperimento è un fiacco trip da LSD, volutamente misterioso e confusionario, che appassiona ed annoia e si affida ad un cliffhanger finale per mantenere viva la curiosità del lettore. Mentre le sequenze più reali di Neverboy #1 riescono ad intrattenere durante la lettura, sono proprio i momenti onirici ed immaginari a risultare eccessivamente confusionari e fini a se stessi, rallentando il ritmo degli eventi e diluendo la narrazione in funzione delle ultime pagine. Nonostante la scrittura sia esente da grossi difetti, spesso si ha la sensazione che molti degli avvenimenti in Neverboy #1 siano un inutile riempitivo. Tutto sommato l’idea è affascinante e i buoni momenti della issue sopperiscono a questa eccessiva decompressione.

Tyler Jenkins e Kelly Fitzpatrick hanno il merito di rendere costantemente interessante la lettura di Neverboy, dando il meglio durante le sequenze psichedeliche e rendendo netto il distacco tra l’esplosivo mondo colorato dell’immaginazione e il grigio piatto ed ordinario della realtà in città. Sono proprio i colori di Fitzpatrick a rendere il lato visivo di Neverboy stellare e a far aumentare l’interesse per la direzione artistica delle prossime issue. Per essere un primo numero, il team creativo ha posto delle basi interessanti ma piuttosto deboli. Il maggior pericolo è quello di leggere una serie le cui energie creative possono terminare prima del previsto, lasciando l’amaro in bocca per un concept originale e degno di migliori sviluppi.

 

Project Superpowers: Blackcross #1 (of 6) – Ellis/Worley
Twin Peaks

Parallelamente ai reboot più blasonati e alle numerose revisioni nella gestione editoriale delle due big, anche la Dynamite decide di seguire questa tendenza, reinventando il mediocre Project Superpowers della coppia Alex Ross/Jim Krueger. Come la maggior parte delle loro creazioni (Justice e i vari Terra X, Paradiso X ecc.) anche quella fu solo un pretesto per sfoggiare la statica arte di Alex Ross, mandando in visibilio i lettori nonostante la tremenda sceneggiatura. Questa volta la penna è stata affidata a qualcuno di decisamente più competente: Warren Ellis. La responsabilità del reboot di questo universo è affidata allo scrittore britannico e a questa miniserie di sei numeri che inizia lentamente ma nel migliore dei modi. 

Dopo una terrificante e silenziosa sequenza d’apertura lunga ben sei pagine, la issue si sposta da un personaggio all’altro piantando i semi di interessantissime storie, per ora slegate tra loro, il cui comune denominatore è Blackross, una misteriosa località à-la Twin Peaks. Agenti speciali che indagano sull’omicidio di un supereroe i cui indizi sembrano puntare a Blackross, una medium truffatrice contattata da enti sovrannaturali reali che viene mandata nella suddetta città per una missione di recupero e un residente sotto Protezione Testimoni della cittadina sono i protagonisti di questa issue. Nonostante appena accennati, i personaggi sembrano avere un enorme potenziale esattamente come la trama ed è affascinante l’enfasi posta su Blackcross, pronta a diventare essa stessa un elemento essenziale della miniserie. 


Colton Worley accompagna Warren Ellis e la sua performance è discreta ma inconsistente. Nelle prime scene oscure si dimostra coerente con l’atmosfera impostata dall’autore ma nel corso di tutta la issue non eccelle mai, svolgendo un compito sufficiente ma senza mai spiccare e risultando spesso disordinato. Problematica è la sua rappresentazione dei personaggi, spesso troppo simili tra loro e poco definiti. La colorazione non aiuta e, se da un lato risulta fondamentale per delineare il tono della narrazione, spesso anch’essa diviene confusionaria e poco apprezzabile, smorzando il feeling con il fumetto durante la lettura. 

In PS:B#1 il dramma supereroistico si mescola perfettamente all’atmosfera inquietante del sopracitato Twin Peaks, intrigando il lettore portandolo a farsi domande sul possibile progredire degli eventi. Nonostante graficamente sia poco impressionante, questo primo viaggio a Blackross è la promettente presentazione di un nuovo mondo, di nuovi personaggi e di nuove storie in cui il mistero regna sovrano.
È stato un bene affidare a Warren Ellis il reboot del marchio Project Superpowers.

 

Detective Comics #40 – Manapul/Buccellato
Anarky In Gotham City 

 

Si conclude il secondo story-arc targato Manapul e Buccellato. Reduci da una lunga run su Flash e dal precedente Icarus, i due artisti reinventati come scrittori dalla DC terminano la loro breve esperienza con il personaggio di Anarky: dopo aver messo a soqquadro Gotham City, in perfetta tendenza con la dilagante moda che spopola tra i Villain del pipistrello, l’anarchico mascherato finisce inevitabilmente sotto scacco grazie alle abilità investigative di Batman e del Detective Harvey Bullock. Le rivelazioni finali sull’identità e sulle motivazioni di Anarky sono contemporaneamente inaspettate e deludenti, in grado di rendere insignificante e vuota ogni sua singola macchinazione precedente. La coppia Manapul/Buccellato non è mai stata in grado di sceneggiare trame complesse e di particolare qualità ma stavolta riescono a cadere nel patetico trasformando un Villain potenzialmente fenomenale in un cattivo à-la Scooby-Doo. La caduta è ancora più dolorosa osservando quanto in alto sembrava puntare questa saga, proponendo anche un interessante legame fra Anarky ed il Cappellaio Matto.
Un’occasione sprecata, in tutto e per tutto.

Se da un lato è semplice criticare la scrittura che caratterizza questa coppia di storytellers, dall’altro è impossibile non inchinarsi davanti alla bellezza delle loro tavole. Da sempre capaci di combinare un aspetto cartoonesco ed una narrazione alla Williams III, i due artisti rendono questa mediocre conclusione una gioia per gli occhi. Esattamente come il loro Flash, la lettura di questo Detective Comics è necessariamente obbligata data l’elevatissima qualità artistica ed è incredibile soprattutto la costanza con cui riescono a disegnare, senza far calare i loro eccelsi standard nemmeno in una singola vignetta. Detective Comics chiude con questo #40 il suo cammino pre-Convergence e lo fa senza brillare, proponendo una sceneggiatura mediocre salvata da un comparto artistico estatico.

 

Lady Killer #3 – Jones/Rich
The Double Life Of Josie Schuller

 

Nelle prime due issue di Lady Killer abbiamo conosciuto Josie Schuller, determinata killer a contratto e contemporaneamente madre affettuosa e casalinga. Dopo aver issato un muro di imperturbabilità davanti a sé riuscendo a destreggiarsi tra le sue due vite agli antipodi, in questo terzo numero ci vengono mostrate le prime crepe nella sua costruzione: la sua forza e la sua sicurezza reggono l’asfissiante party e le accuse di adulterio di sua suocera ma è proprio nel suo impiego segreto che inizia a crollare. Un collasso emotivo dovuto ad un omicidio difficile da compiere, una scelta che cambia il personaggio e lo porta verso un’evoluzione totalmente inaspettata. La svolta personale di Josie avviene in contemporanea con un improvviso cambio di direzione nella sua gestione come sicario: reputata dal suo capo come instabile, verrà ordinato a Peck – un altro sicario, legato a Josie – di liberarsi dell’assassina dopo il compimento del suo ultimo incarico. 

Il cambiamento della protagonista aggiunge spessore al personaggio e anche Peck riceve lo stesso trattamento: le sue comparsate non avevano delineato al meglio la sua personalità ma con questa issue si intravede, anche se solo per un istante, un profondo e sincero momento di tristezza che si contrappone al suo solito fare da playboy. Questi due percorsi paralleli si intrecciano nell’ultima pagina della issue e la destabilizzazione emotiva di Josie e Peck si ripercuote sulla trama, portata in una direzione completamente differente da ciò che ci si poteva aspettare all’inizio di questo terzo numero. Scritto a quattro mani, Lady Killer procede rapido nel suo cambiamento ma quest’ultimo non appare affrettato bensì intenso ed emozionante.


Joelle Jones continua a stupirci con il suo tratto anni ’60 semplice e stilizzato, in grado di donare una caratterizzazione ben precisa ai suoi personaggi esacerbando, per esempio, lo sguardo minaccioso della suocera o assottigliando le espressioni facciali di Josie Schuller sino a renderle quasi feline. L’esagerazione estetica della personalità dei protagonisti di Lady Killer ha il pregio di non cadere mai nel ridicolo. Un altro merito da riconoscere alla disegnatrice è quello di riuscire a rappresentare in maniera realistica e naturale il collasso emotivo di Josie, passando dalla freddezza all’affetto, dalla sicurezza alla crisi d’identità.

Mancano solo due numeri al termine di Lady Killer e sino ad ora non ha nulla da invidiare a serie più blasonate. Personaggi e trame dinamiche, conflitti, azione e tensione caratterizzano questa produzione Dark Horse, la forte svolta di questo numero è un incentivo alla lettura e l’attesa per il climax si fa spasmodica. 

 

The Big Con Job #1 (of 4) – Palmiotti/Brady/Stanton/Little
Comic-Con

 

Il mio approccio con The Big Con Job è stato particolare: solitamente tendo ad informarmi minuziosamente, spulciando ogni possibile Preview e ripensando alle svariate opere che quel tale autore/disegnatore ha sfornato nel corso della sua vita per farmi un’idea dell’opera futura. Questa miniserie, non si sa come e non si sa perché, mi era sfuggita e Mercoledì stesso l’ho notata e l’ho letta, fidandomi del buon veterano Jimmy Palmiotti.
Sembra strano ma, nonostante gli svariati capolavori usciti questa settimana, The Big Con Job è stata la sorpresa più bella, un primo numero in cui si mescolano perfettamente tristezza, disperazione, humor, personaggi fantastici ed empatici, il tutto impreziosito dall’argomento originale che esso tratta.

Palmiotti e Brady ci presentano un gruppo di ex-attori di serie TV Sci-fi che hanno visto la loro popolarità diminuire nel corso degli anni e, oramai anziani, riescono solo a raschiare il fondo del barile in convention semi-deserte per poter racimolare il minimo indispensabile per sopravvivere. Bastano pochi secondi, giusto il tempo per associare il nome al volto, ed è subito amore: i personaggi di The Big Con Job entrano immediatamente nel cuore del lettore. Le loro vite professionali e personali disastrate, gli spassosissimi dialoghi durante la convention, la disperazione palpabile degli scambi di battute nella loro vita privata e l’attaccamento ossessivo al loro passato da star televisive sono solo alcuni fra gli elementi che rendono questi personaggi meravigliosi. I due sceneggiatori non solo riescono a presentarci dei protagonisti scritti in maniera eccellente ma ci offrono esseri umani alla deriva con cui il lettore empatizza a tal punto da desiderare candidamente e sinceramente il meglio per loro e tutto questo in una sola issue!
Applausi scroscianti!


Forte ed esplicita è anche la critica alle convention stesse e alla loro organizzazione volta ad abbandonare la “vecchie guardia”, così come è chiaro quanto esse siano diventate delle vuote passerelle inutili. Nonostante non sia il fulcro della miniserie è palese quanto sia autobiografico questo aspetto del fumetto e, non alla stessa maniera magari, è possibile trasportare e modificare queste critiche alle convention Made In Italy, divenute in pochissimo tempo degli asfissianti raduni di cosplayer. Palmiotti e Brady fanno centro anche qui.

Stanton è caricaturale e cartoonesco nel rappresentare i personaggi e il mondo di The Big Con Job ed è fenomenale nel rendere comunque emozionanti ed intensi i momenti di tristezza e frustrazione che spesso caratterizzano i protagonisti. The Big Con Job #1 è un inizio eccellente, capace di tenere incollato il lettore dalla prima all’ultima shockante pagina che riesce a rendere tutto questo primo numero ancora più interessante per i futuri sviluppi della trama. La miglior sorpresa di questo Mercoledì.

 

All New Hawkeye #1 – Lemire/Pérez
Essex Barton

 

Manca ancora l’ultimo numero della run di Fraction e Aja su Hawkeye ma questo non ha impedito la pubblicazione della nuova serie su Clint Barton e Kate Bishop targata Jeff Lemire e Ramòn Pérez e la mano dello scrittore canadese si sente pesante. Nonostante la vena ironica e spensierata che ha reso un capolavoro la precedente serie sia comunque ripresa, Lemire decide di cambiare le carte in tavola mostrandoci numerosi flashback del turbolento e triste passato di Clint Barton smorzando l’humor che caratterizza gli avvenimenti del presente. La issue dunque si muove su due linee temporali, iniziando in medias res: osserviamo Clint e Kate che indagano sotto gli ordini di Maria Hill in una base dell’Hydra per cercare un’arma segreta, combattendo contro gli anonimi soldati e, a questa missione, si alternano gli sguardi al passato di Clint e Barney.

I momenti ambientati nel presente seguono perfettamente la scia lasciata da Fraction e Aja, mantenendo il tono leggero ed ironico nonostante Clint appaia più prudente e più maturo nel suo rapporto con Kate. Il ritmo è serrato, pura azione contornata dai divertenti scambi di battute tra i due Hawkeye, niente di nuovo sotto il sole visto quanto siano simili alla precedente incarnazione queste sequenze frenetiche. La narrazione cambia totalmente durante i flashback sul passato dei due fratelli Barton, assumendo il tipico tono mesto ed intenso che da sempre caratterizza Jeff Lemire. Il parallelismo con il capolavoro Essex County non si ferma solo allo stile di scrittura ma prosegue anche con le atmosfere e i paesaggi che fanno da sfondo ai due ragazzini, caldi e  desolanti. Il ritmo con cui questi scenari si alternano nel corso della issue si fa sempre più rapido, alternando sequenze sempre più brevi sino a mescolarle perfettamente nelle ultime pagine, portando in entrambe le timeline un tono più cupo e sinistro. All-New Hawkeye è semplicemente l’ennesima dimostrazione del talento di Jeff Lemire, uno dei migliori scrittori sulla piazza. 


Ramon Pérez è, senza mezzi termini, sbalorditivo. A partire dalla cover l’artista non sbaglia un colpo, rappresentando una perfetta metafora sul contenuto della issue: un Clint Barton bambino che già indossa una maglia su cui è presente il simbolo del suo futuro, legando perfettamente in una sola immagine i due cardini della storyline. Le sequenze ambientate nel presente seguono lo stile di Aja, assumendo un tono minimale e “pieno” che sembra miscelare perfettamente il tratto del precedente disegnatore con la fenomenale semplicità del Mazzuchelli di Batman: Year One. Quando ci si sposta nel passato è impossible non rimanere ammaliati dalla perfetta rappresentazione delle memorie di Clint Barton. Il tono malinconico della narrazione è sottolineato dall’utilizzo di una tecnica differente rispetto alle sezioni nel presente: confini poco definiti e acquerelli di svariate sfumature di viola e granata definiscono i ricordi imperfetti di Clint, integrati al meglio con la scrittura asciutta e fatta di immagini che caratterizza da sempre Jeff Lemire. 

All-New Hawkeye #1 riprende le idee precedentemente esposte da Fraction, le trasforma e le affianca all’appassionato ed emozionante viaggio nel passato dei fratelli Barton, concentrandosi anche sul rapporto e sulle interazioni tra i due Hawkeye. L’equilibrio nella scrittura e la versatilità grafica rendono questa issue di debutto impressionante, Lemire e Perez hanno gli strumenti ed il talento per superare l’acclamata run di Fraction e Aja e l’hype per il secondo numero è già alle stelle. 

 

Descender #1 – Lemire/Nguyen
Space Sweet Tooth

Annunciato l’anno scorso al San Diego Comic-Con, Descender ha immediatamente attirato l’attenzione dei fumettomani incalliti. Jeff Lemire, tornato sul creator-owned dopo l’excursus supereroistico in DC e per giunta di nuovo sullo Sci-Fi dopo l’ottimo Trillium, e Dustin Nguyen, finalmente libero di esprimere al 100% la sua creatività, esplodono sulle pagine di Descender e confermando quanto la libertà dai trend fumettistici tipici delle due big sia una manna dal cielo per i team creativi. 

È proprio Nguyen a sottolineare quanto decisiva sia questa scelta, questo salto nella libertà creativa, un’artista da sempre legato alla DC Comics e di conseguenza da sempre sicuro del suo lavoro e della sua stabilità. Lo spostamento al creator-owned è una mossa azzardata, economicamente dubbia per un disegnatore ed è proprio ringraziando Dustin Nguyen che voglio iniziare a parlare di Descender, grazie per essersi addentrato in questo mondo incerto e per averci donato trenta pagine stupefacenti. Descender #1 è indubbiamente il punto più alto della carriera artistica dello statunitense. Il suo tratto delicato, caratterizzato da un costante uso dell’acquerello, dona a questo numero d’apertura un aspetto quasi fiabesco ed è fenomenale la sua rappresentazione della terrificante profondità dello spazio. La minuziosa attenzione al design dei protagonisti e delle numerose razze aliene osservabili in Descender è impressionante e le splash pages presenti sono azzeccatissime e ritraggono perfettamente la tremenda maestosità della situazione.

Descender è la storia del giovane cyborg TIM-21, risvegliatosi in solitudine sulla luna di Dirishu-6 dieci anni dopo un attacco robotico su larga scala che ha decimato la popolazione della galassia e ha alimentato l’odio per le intelligenze artificiali, portando la galassia ad una totale distruzione delle macchine. È facile paragonare TIM-21 a Gus, il protagonista di Sweet Tooth, entrambi giovani, soli ed in cerca di risposte. Il Dottor Jin Quon è invece uno scienziato esperto in robotica caduto in disgrazia, sopravvissuto alla catastrofe che ha colpito la galassia dieci anni prima e costruttore di numerosi modelli di Robot, compreso TIM-21. È evidente come il disastro causato dagli Harvester abbia influenzato le vite dei due protagonisti in maniera tragica e sarà curioso osservare come Jeff Lemire svilupperà la storia di questi personaggi ineluttabilmente legati tra loro. 

Descender #1 ha il pregio di catturare l’attenzione del lettore sin da subito, ponendo le basi per numerose trame future e mostrandoci Lemire e Nguyen in forma strepitosa. La costruzione del mondo intergalattico in cui si muovono i protagonisti e le comparse è rapida ma incredibilmente dettagliata e la perfetta miscela di dolcezza, mistero, intrigo e inquietudine che avvolge ogni pagina dei questa issue di debutto stupisce ed incuriosisce. I due storytellers sono pronti a lasciare un marchio indelebile nel mondo del creator-owned. 

Thank God Is Wednesday 4 termina qui e vi consiglia caldamente di recuperare ogni singolo fumetto di Jeff Lemire. Dai suoi primi lavori indie alle ultime ottime prove supereroistiche su Animal Man e Green Arrow, non ve ne pentirete minimamente.
Alla prossima settimana, adios!

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