Non di solo eroi fittizi – In memoria di Paolo Borsellino

È il 13 luglio. Il sole è sceso da un po’, siamo sotto un tendone con una cinquantina di sedie di plastica blu scuro occupate sia da curiosi occasionali, che da chi non attendeva altro che di essere lì, in quel momento esatto. Giampiero mi guarda, sono ansioso. Si siede. E’ arrivato Lelio Bonaccorso, così come Salvo Di Marco e Vincenzo, nonché Manuel Preitano. Tutti lì, dall’altra parte del tavolo. Attendiamo il silenzio. Si può cominciare. Varie cose possono distrarre vista e udito in quel di Messina, al Giardino Corallo, pieno di cosplayer e costellato di stand, ma quando Lelio interviene, mi trascina col suo sorriso da giocoso ragazzo consapevole, ma al tempo stesso leggero. Non ho idea in realtà di quanti anni abbia e non sono mai stato bravo ad indovinare, ma lo sento vicino come un compagno di banco che ti racconta delle sue avventure. Certo, quelle di Lelio sono avventure dense d’impegno e significato, ma al contempo, fra una battuta ed un aneddoto, m’intrattiene, e – anche solo con uno sguardo – m’insegna qualcosa. Non c’è bisogno che Lelio pronunci il nome di Peppino Impastato. Mentre i suoi occhi brillano, a me viene comunque in mente il volto di Peppino, il suo fare dissacratorio mentre narra a modo suo La Divina Commedia alla radio. E si diverte. E denuncia.

Oggi è il 19 luglio 2014. 22 anni fa, moriva un eroe. Paolo Borsellino si è portato con sè misteri e lacrime. Qualcuno dice che il sorriso del suo collega Giovanni Falcone, quello immortalato in una foto mentre apre le persiane d’una finestra e sembra quasi salutarci in unico abbraccio, che quel sorriso debba stare appeso nelle aule delle scuole di tutta Italia, c’è chi addirittura dice che dovrebbe stare anche in Parlamento. Io credo che il suo sorriso vegli sempre, mentre qualcuno scrive. Parlandoci de “L’invasione degli scarafaggi”, Lelio implicitamente ci raccomanda che è attraverso l’arte e il racconto, nonché l’educazione, che ci scompaiono le antenne e le zampe e che torniamo umani. Nel romanzo illustrato del quale, insieme a Marco Rizzo, è autore, ad un bambino prepotente iniziano a svanire le fattezze da “scarafaggio” (metafora dello stereotipo mafioso) quando riceve un atto di generosità e gli viene regalato un diario.

Oggi guardando il TG3 ho visto Manfredi Borsellino e Lucia Borsellino rilasciare dolorose dichiarazioni. Quando Manfredi, riferendosi al padre, ha utilizzato l’espressione “cadavere caldo”, ho avuto i brividi. Sono tornato in stanza, Batman mi osservava dalla mensola e mi sono immerso nei suoi occhi truci, bianchi e solo apparentemente vuoti. Il pensiero precedente ha fatto posto al sorriso di Lelio e mi sono immaginato il volto di Peppino. I lividi di Don Puglisi. Le auto di Falcone, e poi di Borsellino, scoppiare e gli agenti di polizia morire con loro. Ma, prima del sangue e prima della cenere ognuno di loro sorrideva.

Un po’ come ho sorriso quando ho visto recentemente il film “La mafia uccide solo d’estate”, di Pierfrancesco Diliberto. Ho sorriso a denti stretti, stretti per il dolore. Sul finale c’è questa scena, una scena intensa, in cui vengono elencati i nomi di eroi. I nostri eroi. Vengono, in realtà, “presentati” al bambino dai genitori: “Quando sono diventato padre, ho capito che i genitori hanno due compiti fondamentali: il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità; il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla“. Seguono i monumenti in memoria: Aparo Filadelfio, Pio La Torre, Rosario Di Salvo, Mario Francese. E poi le lacrime, i ricordi. Ricordi che non hai, ma radicati negli occhi dei tuoi genitori che hanno visto troppo. Radicati nei volti di coloro che tuttora si voltano e pensano al resto, ad altro. Strade in cui non metterai mai piede, le strade marchiate, malfamate, sporche: quelle strade che non saranno mai più nient’altro se non quello. Non saranno mai curate e risanate, ma anzi saranno lasciate a marcire. Ed in te si fa largo il pensiero che tutto questo sia normale, naturale.

Lo vivi così. E ti fa rabbia se ci pensi. Sei inerme e lontano da un mondo che è al tempo stesso così vicino e così incredibilmente distante. Ti hanno insegnato ad omaggiare gli eroi, ma a rimanere distante dalla scena. Tra le lacrime ti senti impotente ma, al contempo, mentre la pellicola scorre, ti dici che c’è chi si muove, chi scrive, chi registra, chi denuncia. Hai i ricordi degli altri, che hai assorbito, hai le date, i nomi, i film, i libri, i fumetti e tutto il resto. Hai Pif, hai Saviano, hai il sorriso di Giovanni Falcone. Hai Borsellino, mentre ascolta Giovanni dirgli qualcosa, che accoglie col sorriso quelle parole. Hai poi i valori che tutti gli eroi fittizi col mantello che ami e segui ti hanno trasmesso, hai la matita o hai la penna, hai in qualche modo il potere di farti sentire. Ma, in questa isola dalle tre punte, ti senti comunque solo – attendo ancora di sentire che non sia solo un siciliano, o un campano, o un pugliese, ad affermare che, dalla nascita, sente gli spari e i dannati affari, le droghe e le parlate storpiate, riverenze e doni macabri – grotteschi mostri che t’invadono cuore e timpani – e rimani in quel bilico in cui non sai se lasciare scorrere l’inchiostro, fuggire o non ascoltare.

Mentre ascoltavo Lelio, mi voltavo a guardare gli altri presenti. Assorbivo la festa, mi prendeva il furore di un bel momento. Le parole di quel sorriso mi prendevano i pensieri e li amalgamavano al resto: ho pensato ai bambini che si ritrovano davanti Marco Rizzo e Lelio, nelle scuole, ascoltano le loro parole, guardano le copertine dei loro fumetti, immaginano gli scarafaggi del racconto e assorbono un gesto di generosità, quello dei due autori. Immagino le vite quei bambini cambiare, anche un minimo, grazie al brillare di uno sguardo, alla passione per la comunicazione e l’informazione, alla voglia divertita di sconfiggere la malvagità, aiutando a riconoscerla. E, a differenza di un bambino che si diverte fra l’ingenuità e l’apprendimento, mi sento in bilico. Il 19 luglio i miei pensieri vengono assorbiti dal dolore di Manfredi e Lucia Borsellino, ed invece del sorriso di Lelio sento vicino a me il cadavere caldo di Paolo. Non so come placare la mia mancanza di equilibrio, ma comincio a lasciar scorrere l’inchiostro.

19 luglio 2014 – In memoria di Paolo Borsellino


L’immagine di copertina è del maestro Lelio Bonaccorso. Per non dimenticare mai i nostri eroi.

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