TWR la (psico)analisi del film di Death Note: L come Lo Gatto?

Tra le urla e gli strali dei giappoaddicted e le pesanti bocciature della critica, il tanto atteso film ispirato a Death Note è giunto su Netflix in un venerdì di fine agosto. C’è chi gli rimprovera la scarsa attinenza col materiale sorgente, chi dei toni troppo teen, chi un brutto finale. 

Va premesso che il film non poteva in nessuna maniera adattare tutti i tre atti del manga – già trasposti in un anime di ben ben 37 episodi – ed era dunque inevitabile una riscrittura. Purtroppo, però, quando vai a toccare un’opera diventata un cult generazionale, anche la più piccola deviazione dla materiale sorgente per i fan diventa vilipendio, figuriamoci quando viene tutto stravolto come in questo caso. Ciononostante, nella sua ora e quaranta il film diretto da Adam Wingard per Netflix, mette parecchia carne al fuoco e il risultato, se lo si riesce a non guardare con gli occhi del nerd integralista, ha alcuni aspetti godibili (very unpopular opinion). 

Per quei 3 sul globo terracqueo che non lo sapessero, Death Note si sviluppa attorno al ritrovamento, da parte di un intelligentissimo ragazzino del liceo, di una Moleskine Malocchio Edition: se ci scrivi sopra il nome di una persona, quella poi muore. Come effetto collaterale ti ritrovi in casa Ryuk, un divinità della morte ghiotta di mele e parecchio brutta che qui ha la voce di Willem Dafoe. Nel film di Wingard il meccanismo narrativo innescato dal Death Note funziona bene ma la mancanza che più si avverte è quella della caccia all’uomo su scala globale, il cui cuore pulsante è (o meglio dovrebbe essere) il duello a colpi di logica ed intuizioni tra Light – il metodico e brillante studente possessore del quaderno – ed L – il più grande e pittoresco investigatore del mondo. I due, infatti, hanno subito un significativo downgrade intellettivo rispetto alle loro controparti made in japan e, più che con la logica, si affrontano a colpi di vaffanculo. 

Light viene fuori solo nel finale del film, e l’attore che lo interpreta Nat Wolff, ha una faccina così furbetta che sembra Tobey Maguire nell’indimenticabile ruolo dell’emo Peter Parker di Spider-Man 3.

Per non parlare di quando, al ballo della scuola (momento imprescindibile di ogni teen movie ‘mmerigano), Light fa le smorfie vestito da mago Galbusera.



Uno degli errori dello script, tra l’altro, è quello di rendere Light un personaggio sostanzialmente positivo, lasciando il ruolo del villain a tutto tondo alla sua ragazza Mia, interpretata dalla ragazzina di The Leftovers. Questo, se non altro, fa sì che Mia sia l’unico personaggio sensibilmente più interessante rispetto alla controparte originale, Misa Amane.

L ha il volto di Keith Stanfiled (già visto nell’interessante horror Scappa – Get Out) ed è un piagnucolone isterico che a forza di sbraitare e farsi saltare i nervi riporta alla mente il commissario Lo Gatto, ma con meno doti investigative.
L is for Lo Gatto?


– Light, ti spezzo la noce del capocollo! –

L’aspetto più positivo del film sono senz’altro le atmosfere: il film è ambientato a Seattle, ha una buona regia, una fotografia carica di neon, qualche momento creepy school à la Donie Darko, alcune morti ben studiate ed una colonna sonora furbetta prevalentemente synth, genere che negli ultimi tempi sembra tornato di gran moda (vedi alla voce Stranger Things). Insomma di difetti il film ne ha senz’altro, ma non è così brutto come molti lo dipingono e un’altra considerazione da mettere nella parte mezza piena del bicchiere è che, comunque, si tratta di un deciso passo avanti rispetto ad altri adattamenti occidentali di manga. Rispetto ad esempio allo scialbo Ghost in The Shell – che meritava la visione solo per Scarlett Johansson simil-nuda che si gettava dai tetti dei grattacieli – Death Note comunque ha una sua personalità. 

Purtroppo, però, per molti versi il film di Wingard lascia un senso di incompiutezza. A questo proposito il regista non ha escluso la possibilità di un sequel, la cui – a questo punto improbabile – realizzazione dipende ovviamente dal numero di visualizzazioni su Netflix.

Io vi saluto e vi ricordo che, se volete evitare che scriva il vostro nome sulla mia Moleskine, vi tocca fare un salto sulla mia pagina Facebook:

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