TWR la (psico)analisi di True Detective 2 che, invece, è bello

La prima stagione di True Detective è stata la magnifica sorpresa della stagione televisiva 2014. Nick Pizzolatto ci ha catturati, Matthew McCounaghey ci ha strabiliati e la regia di Cary Joji Fukunaga ci ha ipnotizzati.

True Detective, però, è una serie antologica, il che vuol dire che ogni stagione avrà storie e protagonisti del tutto nuovi, l’unico filo conduttore è il genere crime drama. Punto. I paragoni con ciò che è stato, dunque, non hanno motivo di esistere e la seconda stagione di True Detective dovrebbe (anzi DEVE) essere giudicata per ciò che è. Cioè un gran bel noir metropolitano.

E siccome non siamo qui per parlare di Rust e Marty, preparatevi. 
J, sparaflashali!

J, mi sa che hai esagerato: mi sono scordato anche come va a finire la scena con la Daddario! E’ UN DISASTRO!

Adesso, con la mente sgombra dai meravigliosi vaneggiamenti di Rust e, purtroppo, dimentica anche dalla gargantuesca ghiandola mammaria della Daddario, possiamo procedere. Ma, prima di tutto, facciamo partire l’intro realizzata da elastic (responsabile anche delle splendide sigle di Daredevil, Game of Thrones ed Halt and Catch Fire) accompagnata da Nevermind di Leonard Cohen.

True Detective 2 è ambientato nell’immaginaria città californiana di Vinci dove tra politici conniventi, appalti truccati e festini hard in villa (sì, avrebbe potuto essere ambientato in Italia) si muovono le disastrose vite dei quattro protagonisti: Ray Velcoro, un Colin Farrell con un baffo che sembra uscito dal video di Sabotage dei Beastie Boys, la detective (col vizio di darla) Ani Bezzerides il cui volto è quello della spledida Rachel McAdams; Paul Woodrugh interpretato da Taylor Kitsch (quello che faceva Gambit nell’ignobile X-Men: Le Origini Wolverine) ed infine il malavitoso Frank Semyon, impersonato da Vince Vaughn che, finalmente, ha capito che i film comici non fanno per lui. 

Le recensioni di questa season 2 sono state per lo più negative…

… e, tra le tante critiche che sono piovute addosso a True Detective 2, c’è proprio il fatto di aver presentato dei personaggi troppo problematici. Su questo aspetto non mi trovo assolutamente d’accordo, per me i quattro protagonisti di TD2 sono molto ben caratterizzati ed ottimamente interpretati. Non ho mai amato né Colin Farrell né tantomeno Vince Vaughn, ma entrambi sono riusciti a dar vita a personaggi meravigliosamente tridimensionali e credibili. I dialoghi al tavolo tra Frank e Velcoro sono una delle cose che più ho apprezzato della serie: crescono di intensità di puntata in puntata fino a portarli allo stallo alla messicana nella cucina di Frank.

Ognuno dei quattro protagonisti ha una rigida filosofia di vita che emerge sin dai primi episodi e che viene via via analizzata e sviluppata nel corso della stagione: la determinazione e la fame di successo dell’apparentemente imperturbabile Frank, la volontà di Velcoro di riconquistare l’amore di suo figlio, i fantasmi di Woodrugh ed il desiderio di oblio di Bezzerides. Intento di Nick Pizzolatto, come lo fu anche nella prima stagione, è di raccontare una storia che verta innanzitutto sull’equilibrio tra i personaggi più che sull’intreccio criminale. Obiettivo questo che lo showrunner riesce a centrare, anche grazie a dialoghi e frasi che spesso colpiscono nel segno…

Se ci pensate Frank, Bezzerides e Velcoro, per quanto probematici, sono molto più veri (molto più ‘true’) di quanto non lo fosse nella prima stagione Rust Cohle che, ok, era un personaggio estremamente affascinante ma, di certo, poco credibile (e qui la smetto con i parallelismi perché non voglio cadere in contraddizione con quanto detto in apertura).

Il problema di TD2, invece, è da cercare da un’altra parte: a volte questo intreccio criminale è più intricato dell’albero genealogico della famiglia Forrester di Beautiful e la sceneggiatura non sempre riesce a fornire, anche allo spettatore più attento, i giusti punti di riferimento. Il risultato è che alcuni passaggi sono stati davvero difficili da digerire. Ad esempio: ricordate quando Frank va a trovare la moglie ed il figlio di un certo Stan, un suo scagnozzo che era stato ucciso? Beh, anche se mi sono strafatto di Acutil Fosforo, proprio non riuscivo a ricordare chi minchia fosse questo Stan. Alla fine mi sono arreso è l’ho dovuto googlare.

Quindi ok, è stata una serie che ha avuto innegabilmente qualche difetto e passaggio a vuoto ma che complessivamente mi ha soddisfatto molto, soprattutto nei due episodi finali, quando tutti i pezzi del puzzle sono andati al loro posto. Certo, si sarebbe potuta evitare la vedenza in stile padre Maronno delle due donne, ma l’inseguimento di cui è protagonista Woodrugh nei tunnel sotteranei o la passeggiata di Frank nel deserto, beh, che bellezza. 
E’ stato il perfetto epilogo di una serie forse imperfetta ma che, per quanto mi riguarda, ha lasciato il segno e Ray Velcoro rientra già di diritto tra i poliziotti cult di cinema e TV.

Prima di salutarvi vi ricordo che, se anche voi siete fan del baffo seventies di Velcoro, non vi resta che cliccare sull’immagine sottostante e lasciare l’ineluttabile like alla pagina facebook TWR.

Condividi