TWR: la (psico)analisi di Pixels: "Date il controllo ai nerd!"

Non si è parlato granché bene di Pixels in rete (su Rotten Tomatoes ha ottenuto un poco lusinghiero 18%) e, negli ultimi giorni, il film con Adam Sandler ha fatto notizia anche per la mezza delusione al box office USA (dove è stato battuto da Ant-Man). E’ dunque con animo tristo e cuore afflitto che mi sono recato in sala. Ma a volte, quando le aspettative sono basse, si rimane piacevolemente sorpresi (a meno che non sia un film di Shyamalan, in quel caso anche se le aspettative sono bassissime… il film riesce ad essere ancor peggiore!).
Intendiamoci, Pixels non fa certo gridare al capolavoro, ma è comunque gradevole cinema d’estate, una buona commedia zeppa di citazionismo anni ’80 e che regala una discreta dose di risate.

Il plot del film, decisamente inusuale, è basato su un geniale cortometraggio del 2010 del francese Patrick Jean. Eccolo:

Immediatamente la Columbia e la casa di produzione di Adam Sandler, la Happy Madison, acquisiscono i diritti, poi subentra Sony e la regia vine affidata a Chris Columbus, leggendario sceneggiatore di supercult come Gremlins ed I Goonies, oltre che regista di commedie anni ’80 come Mamma Ho Perso l’Aereo, senza dimenticare la più recente regia dei primi due film di Harry Potter. Insomma uno che ci sa fare (eccome) sia con le commedie che con il fantasy.
Chiaramente Sandler si piazza al centro del progetto tenendo per se il ruolo del protagonista.

Questo il plot: negli anni ’80 la NASA spedisce nello spazio una capsula contenente, tra le altre cose, dei filmati dei videogames dell’epoca. Dei sagaci alieni, scambiando il video per un messaggio di sfida, piombano sulla terra con delle giantesche versioni di Pacman, Centipede, Donkey Kong e compagnia bella (i più attenti avranno notato anche Paperboy!).

Ad opporsi a questo Indipendence Day in 8-bit sarà un manipolo di nerd terminali, tra cui figura anche il Presidente degli Stati Uniti, e l’immancabile figa del film, il tenente colonnello Topa Van Patten (una Michelle Monaghan un po’ invecchiatella ma con un inedito ed aprezzabilissimo fascino milf).

Il citazionismo che tanto piace a noi appassionati di cultura pop è fuori scala: c’è un cameo di Dan Aykroyd, la particina di Sean Bean è geniale (‘ti ho detto che é uno spot della birra!’), la presenza di icone eighties come il duo di Fantasilandia aggiunge quel tocco di nostalgia infantile e la presenza di Toru Iwatami, il creatore di Pacman, è la vera ciliegina sulla torta.

Certo che Montalban ed il suo piccolo compare, col senno di poi, avevano un non so che di inquietante…

Va però detto che sui più giovani che non hanno vissuto gli anni ’80, questa componente potrebbe non avere la stessa presa che ha su un classe ’79 come me che si è svezzato su un Atari 2600

Come vi ho appena detto, le citazioni non mancano ma trattasi di commedia e, dunque, l’obiettivo prima di tutto è far ridere.  Intento in cui Pixels riesce per larghi tratti: quasi tutte le scene con protagonista l’amatissimo Peter ‘Tyrion’ Dinklage (aka The Fire Blaster) sono da pollice in su, ed altrettanto riuscito è Ludlow Lamonsoff, il personaggio interpretato da Josh Gadd (attore diventato famoso dopo il successo a Broadway del musical The Book of Mormon ideato dai creatori di South Park).

Il problema principale di Pixels, però, è proprio Adam Sandler, un attore sempre troppo uguale a se stesso in (quasi) tutte le sue interpetazioni. A questo aggiungete la sua solita espressione perennemente scazzata di quello che “dai finiamo di girare che devo mettermi sul divano a guardare Temptation Island” e il gioco è fatto. 

Lo ammetto, non sono mai stato un grande fan di Adam Sandler ma gli riconosco un merito: quello di aver realizzato un vero ed inarrivabile capolavoro, Zohan, film in cui interpreta un agente del Mossad israeliano che si finge morto per andare a New York e realizzare il suo sogno: diventare un parrucchiere per donna. Se non l’avete mai visto, rimediate immantinente.

La sensazione, comunque, è che con un altro protagonista Pixels avrebbe guadagnato qualche punto in più.

In più c’è una cosa che non mi è proprio andata giù del personaggio di Sandler: viene stressato fino allo sfinimento il fatto che sia un nerd ma, in fin dei conti, l’unico aspetto nerd della vita di quest’uomo è che, da bambino, giocava ai videogames in sala giochi. Come faceva l’80% della popolazione maschile tra i 10 ed i 18 anni a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 in tutto il mondo occidentale. E, per sottolineare ancora di più il concetto, il suo personaggio è una specie di tecnico dell’Euronics che indossa una divisa da lavoro con su scritto – indovinate un po’? – NERD. Aridaje.
Insomma ok, è “nerd”, lo abbiamo capito. Ma ci sono mille modi per caratterizzare il protagonista di un film senza sbattermi ripetutamente  il messaggio in faccia e scrivendoglielo addirittura sulla maglietta.
Un aspetto, questo, messo in evidenza anche dal mio amico Umberto sul suo blog Cast Away on the Movie

In conclusione Pixels offre 90 minuti di buon intrattenimento, un valido 3D ed una più che ragionevole dose di risate e strizzatone d’occhio ai nostalgici dei coin-op e dell’Atari. Rimane il rimpianto di non aver visto qualcosa di veramente memorabile ed è un peccato, perché il plot del film è molto originale ed alcuni elementi della pellicola di Columbus sono davvero ben riusciti. Ma, caro Adam Sandler, forse sarebbe il caso che tu iniziassi a reinventarti un po’…

Se anche voi siete fan dell’“appiccico” come Zohan, vi ricordo l’inelluttabile like alla pagina Facebook più NERD dell’internet che si aprirà cliccando sull’immagine sottostante.
Ehi nerd, vi ho già detto che è una pagina NERD? 

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