THANK GOD IS WEDNESDAY 8 – It's The End of The World As We Know It

Nel 1987 i R.E.M. pubblicavano il loro ironico singolo sulla fine del mondo ed è con la stessa ironia che Thank God Is Wednesday, nella sua ottava settimana di pubblicazione, vi propone le recensioni dei fumetti che rappresentano proprio la fine del mondo DC Comics, così come lo conosciamo.

The New 52 Futures End #48 – Jurgens/Lemire/Azzarello/Giffen
…And I Feel Fine – Part One

 

49 settimane: a partire dal Free Comic Book Day dello scorso anno in cui per la prima volta venimmo a contatto con Futures End #0, sino ad arrivare alla resa dei conti di Mercoledì Primo Aprile 2015. Ho dovuto leggere questa issue ben tre volte prima di poter formulare un’opinione precisa e, ad ogni rilettura, le note positive si affievolivano, discendendo dall’eccitato entusiasmo per l’ultimo capitolo dell’abnorme serie fino ad arrivare all’indignazione per un finale che sa tanto di presa per il c**o. Futures End #48 fondamentalmente è una buona issue che non presenta particolari difetti “tecnici” ma fallisce totalmente nelle premesse generali di storyline che si era imposto sin dal primissimo numero.

La penna dei vari autori è di buona qualità, la caratterizzazione e l’abilità nel catturare determinati momenti sono punti a favore, ma è il soggetto stesso della serie a far acqua da tutte le parti, lasciando annegare il lettore in un mare di malcontento. La sensazione al termine della issue è quella di aver faticato per un anno intero, seguito le trame spesso frammentarie e noiose dei numerosissimi personaggi, chiuso un occhio sugli svariati capitoli davvero pessimi e aver sopportato un incoerenza artistica assurda per ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Non è stato risolto assolutamente nulla e visto l’annuncio di un paio di serie DC per il post-Convergence, la sensazioni di esser stati ingannati per un anno intero dalla pubblicazione di Futures End è insopportabile.

Futures End #48 è un esempio di mediocrità nella gestione a lungo termine delle trame e di una serie settimanale. Sapere perfettamente il motivo per cui una weekly della durata di un anno, un lunghissimo anno, sia terminata in maniera così brusca e ingiustificata rende la presa per il cu*o ancora più difficile da digerire. Perché, e mi ripeto ancora, dopo un anno e quarantanove numeri che definire altalenanti nella qualità sarebbe un eufemismo, non è possibile rimandare tutto al futuro, non è possibile rimandare la quadratura del cerchio ad una serie che verrà. È intrinsecamente contraddittorio e sbagliato, disonesto nei confronti del lettore.

È davvero troppo semplice immaginare un pelatone a caso che dall’alto osserva i suoi clienti, ridendo della loro stupidità, pensando a quanto è stato scaltro per aver escogitato il piano perfetto che ha portato introiti costanti nelle sue tasche a spese della fiducia dei lettori. Non mi dilungo oltre nella recensione di questo capitolo finale di Futures End perché non merita ulteriori considerazioni. Un finale sciatto e disinteressato. Complimenti vivissimi.

Earth 2: World’s End #26 – Wilson/Bennet/Johnson/Bunn
…And I Feel Fine – Part Two

 

Lo sfortunato universo di Terra-2 è stato vittima di un infausto destino, una caduta troppo rapida nell’abisso della mediocrità che non meritava. All’inizio del New 52 James Robinson ci portò alla scoperta di questo mondo parallelo, un reimagining di personaggi storici come Alan Scott e Jay Garrick di elevata qualità che rappresentava un’ottima alternativa alla penosa Justice League di Johns/Lee. All’apice della sua run passò il testimone a Tom Taylor, famoso per il webcomic Injustice: Gods Among Us, che mantenne una qualità più che discreta nonostante non fosse ispirato quanto il precedente autore. Poi venne Earth 2: World’s End. I personaggi che avevamo tanto amato sino a quel momento diventarono i protagonisti di una vicenda che definire confusionaria e sterile sarebbe un eufemismo, una storia inutile di cui il lettore conosce già il finale, sin dall’inizio.

La guerra tra i supereroi di Terra-2 e Apokolips giunge al termine e l’eterna battaglia tra il bene e il male iniziata almeno una dozzina di issue fa ha finalmente una fine. Earth 2: World’s End ha tentato fino alla fine la strada dell’epicità, proponendosi come un estesissimo campo di battaglia su cui i numerosi Eroi e Villain se le davano costantemente di santa ragione. Questo capitolo finale non si discosta minimamente dall’idea di base, mostrandoci l’ultimo grande scontro tra il paladino terrestre Alan Scott a.k.a. Green Lantern e il leader di Apokolips, Darkseid: in nessun punto della issue la battaglia riesce a raggiungere le vette sperate e, così come in tutta la serie, non c’è nulla che possa fregiarsi della tanto ricercata epicità.

I pochi buoni momenti della issue sono scritti con superficialità, poco approfonditi e destinati a far parte dell’eterno ronzio di sottofondo che questa serie troppo rumorosa ha sempre avuto. Un ronzio di sottofondo che ha del malinconico in sé: quelli che un tempo erano personaggi che avevano la loro forza in una caratterizzazione intensa e una spinta emozionale ragguardevole adesso non sono nient’altro che ombre del loro onorevole passato. Non è più possibile empatizzare con i protagonisti perché vuoti ed inconsistenti.

Il comparto artistico non aiuta l’immersione nella storia e coadiuva quella sensazione di superficialità e frammentarietà tipica della serie: la presenta di ben 13 disegnatori in sole 35 pagine è sinonimo di repentini cambiamenti di stile, dal cartoonesco al realistico passando per ogni possibile via di mezzo, che spezzano la già confusa e disorganica narrazione.

Earth 2: World’s End è perlomeno una serie onesta: sin dall’inizio è stato evidente l’obiettivo di voler metter in scena una Royal Rumble su una terra sull’orlo del collasso ma lo spettacolo offerto al lettore non è stato soddisfacente. È difficile giustificare l’incoerenza nella costruzione del plot e la superficialità con cui sono stati trattati i meravigliosi eroi di Terra-2. Nonostante sia possibile creare una buona serie action senza risultare approssimativi nella caratterizzazione del setting e dei personaggi, gli autori hanno invece confezionato un prodotto mediocre e frammentario. Dobbiamo riporre le nostre speranze nel futuro Earth 2: Society.

Batman Eternal #52 – Snyder/Tynion/Higgins/Fawkes/Seeley
…And I Feel Fine – Part Three

 

Tra le tre weekly series targate DC Comics Batman Eternal è sempre stata la più soddisfacente, nonostante i fisiologici e momentanei cali di qualità dovuti alla modalità di pubblicazione e alla rotazione di scrittori e artisti. Nonostante gli ultimi due numeri siano stati irritanti a causa dello stratagemma narrativo di cui la testata ha abusato allo sfinimento, l’ultimo periodo di Batman Eternal è stato forse il migliore, in grado di far apprezzare le prime quindici-venti issue soporifere. L’impatto del finale non è duro e sconvolgente come ci si sarebbe potuti aspettare da una mistery story ma è comunque soddisfacente nonostante l’anticlimaticità. In definitiva: Batman Eternal riesce a reggere il suo stesso peso dopo un anno in cui non sembrava potesse riuscirci appieno.

La smentita sul Villain della scorsa settimana riacquisisce dignità nella sequenza d’apertura, ridando al farabutto decaduto la giusta importanza e intrecciando alla perfezione la sua storia con quella della reale mente dietro la caduta di Gotham. Il tutto è legato a filo doppo con importanti avvenimenti riguardanti l’inizio del New52 Batmaniano ed è soddisfacente percepire durante la lettura come tutto sia collegato e quanto ogni singolo evento sia fondamentale. La “lore” stabilita da Snyder sul suo Batman è fenomenale ed è evidente il suo zampino nella costruzione di questo finale e della quadratura del cerchio. Le motivazioni che hanno spinto il Villain dei Eternal a scagliarsi in maniera così violenta e catastrofica su Batman e la sua città reggono bene e, in linea di massima, il suo comportamento è affine a quello del Villain di Batman: Hush.

 

I comprimari della serie, in realtà protagonisti quanto il Pipistrello, vivono degli stessi alti e bassi che hanno caratterizzato l’intero Eternal: stavolta il problema principale non è la caratterizzazione sommaria di quei personaggi, ma un ritmo un po’ troppo frenetico e precipitoso che spesso non riesce a dare al lettore la possibilità di soffermarsi ulteriormente sulla situazione. Se da un lato è comprensibile questa narrazione affrettata vista la mole di personaggi in movimento e l’intrinseca natura da capitolo finale, dall’altro è irritante muoversi così rapidamente. Nonostante questa pecca generale, Batman Eternal #52 riesce comunque a salvarsi mostrando un Jim Gordon fenomenale, vero eroe di tutta la serie, e nelle ultime pagine rafforza l’idea di un universo Batmaniano coeso e coerente con sé stesso.

 

Artisticamente ci troviamo di fronte alla stessa situazione di Earth 2: World’s End #26 ma, incredibile ma vero, su Batman Eternal #52 l’immensa mole di disegnatori funziona quasi alla perfezione: non ci sono interruzioni o cambi artistici nel bel mezzo di una scena e ogni disegnatore riesce a mantenere uno stile contemporaneamente personale e coerente con il resto della issue. Le pagine finali presentano però qualche problema: le ruvide matite di Fawkes durante il dialogo spettrale tra Corrigan e Batwing e lo stile cartoonesco di Lafuente utilizzato a casa di Bluebird spezzano l’atmosfera generale, nonostante siano singolarmente appropriati per le scene sopracitate.

Nonostante un finale anticlimatico e una narrazione un po’ troppo precipitosa, Batman Eternal #52 chiude il lungo percorso durato un intero anno e lo fa camminando a testa alta, conscio di aver offerto ai lettori un’avventura imperfetta, scostante ma comunque piacevole. La decisione di focalizzarsi sull’eroismo e sull’importanza di Gotham City come essere vivente può forse risultare melensa ma è azzeccata. Non passerà alla storia come una delle opere più importanti di Batman ma rimane comunque l’unica fra le tre weekly ad essersi conclusa con dignità, senza dar al lettore la sensazione di aver sprecato tempo. In definitiva: ne è valsa la pena? Assolutamente sì.

Convergence #0 – Jurgens/King/Van Sciver
…And I Feel Fine – Finale

 

(Questa recensione è facilmente sintetizzabile in pochissime parole: Convergence #0 è una m***a. Se volete risparmiare tempo, passate direttamente al prossimo fumetto!) 

L’idea di un mashup multiversale tra mondi e personaggi provenienti da epoche differenti della mastodontica storia DC Comics mi ha affascinato sin da subito, portando il mio interesse per Convergence a livelli molto alti. Nonostante la cadenza settimanale non fosse una scelta particolarmente azzeccata e un parco autori imbarazzante (gente come Dan “Cariatide” Jurgens, Scott “MammaCheSchifo” Lobdell e Jeff “Illustre Sconosciuto” King) riponevo una buona dose di fiducia in questo evento, fiducia totalmente spazzata via da un prologo pietoso e completamente inutile. Come se questo non bastasse, Convergence #0 è la dimostrazione di quanto Dan Didio sia un bugiardo pallone gonfiato: vi ricordate le continue affermazioni su quanto questo evento potesse esser appetibile anche per i neofiti dell’universo DC? Su quanto fosse stato scelto Jeff “MaChiSeiTu?Boh” King come autore per infondere a Convergence un tocco di novità, una visione dell’universo DC dall’esterno? Tutte stronzate! Questo Numero Zero è legato a filo doppio al finale di quello scempio chiamato Superman: Doomed, quindi ad una continuity ben definita, e richiede una buona conoscenza dei personaggi DC Comics e della loro storia per potervisi raccapezzare al meglio. Dan Didio, che simpatico burlone!

 

Forse per “appetibile per i neofiti” intendeva dire “comprensibile anche da un bambino di 3 anni”? Perché l’impressione che si ha è quella. Superman, intrappolato da Brainiac nel suo mondo-patchwork, ribadisce ripetutamente la sua volontà di voler tornare a Metropolis e le decine di versioni del Villain che incontra gli domandano continuamente in quale delle Metropolis lui vorrebbe tornare. Metà di questa oversized issue può essere riassunta in questo modo. Probabilmente con Convergence #0 si stava tentando di allargare il mercato alla fascia 4-6 anni, ribadendo concetti per un numero spropositato di pagine in maniera tale da farli comprendere davvero a chiunque. La mia reazione generale è stato un misto tra lo sconcertato e il perplesso, sensazione in aumento verso il termine della issue in cui Brainiac, senza alcuna logica, lascia andare via Superman. Boh.

Tralasciando (?) gli orrori nella costruzione del plot di questo prologo, Jurgens e King compiono un lavoro pietoso in toto: nel tentativo di creare una storia tragica, coinvolgente e a tratti metatestuale, falliscono clamorosamente offrendo una issue convoluta per il puro gusto di esserlo che risulta semplicemente brutta e noiosa. Imbarazzante è proprio il voler rendere un concept come il mashup in un mondo simile ad un pantalone fatto di pezzi di stoffa tutti differenti qualcosa di serio, maturo e intellettuale. I dialoghi tra Superman e Brainiac sono artificiosi ed innaturali e in alcuni punti rendono la lettura incredibilmente fastidiosa. Dopo il dialogo e la partenza di Superman, Brainiac si getta in un breve monologo che chiude la issue con un ultima pagina memorabile: una patetica dichiarazione di scuse per la pietosa gestione dell’universo DC negli ultimi anni.

 

Ethan Van Sciver è un po’ come David Finch e Jim Lee: un tempo grande e adesso totalmente inconsistente. Convergence #0 prova a mantenere quella parvenza fumosa di complessità anche nel comparto grafico ma il risultato è anche qui, scusate se mi ripeto, imbarazzante. La costruzione dei layout fa il verso ai vari Williams III, Rudy e Del Mundo ma non raggiunge minimamente le vette di questi artisti, risultando confusionario e completamente inutile dal punto di vista narrativo. Il design di Brainiac è piacevole e le varie rappresentazioni del Villain sono probabilmente l’unico punto positivo di tutta la issue, caratterizzate al meglio.

Dopo mesi di attesa per l’inizio di Convergence quello che abbiamo in mano è un prologo debole, ripetitivo, noioso e poco interessante. Una issue di 27 pagine in cui almeno la metà sono completamente inutili e bypassabili mentre il resto è semplicemente brutto. Una issue di 27 pagine in grado di spegnere completamente tutto l’hype che si era creato attorno a questo evento, annunciato in pompa magna molto tempo fa e che tutti stavano aspettando dopo gli scivoloni del New52. Terremo incrociate le dita per le numerose miniserie.

Uncanny Inhumans #0 – Soule/McNiven
Conqueror Black Bolt

 

Il rilascio della bomba terrigena, la distruzione di Attilan e la presunta morte di Black Bolt. La diffusione della nebbia, la nascita di nuovi Inumani, la costruzione di New Attilan e l’ascesa al trono di Medusa. Il ritorno di Black Bolt e la negazione del suo posto accanto alla regina. Questo e molto altro è stato il cammino degli Inumani dalla fine di Infinity sino a questo Uncanny Inhumans #0, primissima issue della nuova serie targata Charles Soule e Steve McNiven. A differenza della serie parallela in corso in cui Medusa è la principale protagonista, con UI#0 Soule volge la sua attenzione verso Blackagar Boltagon, proponendoci un personaggio intenso e coinvolgente. La issue è appassionante e fa leva sul dramma famigliare che Black Bolt sta attraversando: un rifiuto da parte della sua amata, la perdita del trono, la scoperta dei segreti riguardanti gli avvenimenti di Infinity e il rapporto conflittuale e distaccato con suo figlio Ahura. L’Inumano diventa incredibilmente Umano.

La issue ha come protagonista assoluto un Black Bolt fenomenale: monolitico, intenso, malinconico ed imponente. Un mattatore che trascina il lettore lungo le pagine di Uncanny Inhumans passando da Mercenari Brasiliani coinvolti in un traffico di Inumani, un incontro teso con Medusa e il fulcro di tutta la issue, l’incontro con suo figlio Ahura, ospite nella reggia di Kang Il Conquistatore. Le sequenze che coinvolgono l’ex re degli Inumani e il Viaggiatore nel tempo presentano una tensione palpabile e la caratterizzazione di entrambi i personaggi, uno forte e silente mentre l’altro aristocratico e verboso, è perfetta. Le pagine finali comprendono una toccante scena Padre-Figlio capace di incutere timore reverenziale e di rappresentare contemporaneamente un importante momento della tradizione Inumana. Soule con Uncanny Inhumans #0 compie un lavoro perfetto.

 

La vera star di questa issue è Steve Mcniven: la pulizia del suo tratto, la capacità nel rappresentare personaggi energici e dinamici e di raffigurare al meglio le loro emozioni è fenomenale. Il silenzioso Black Bolt riesce ad essere intenso grazie alle abilità di McNiven che ci presenta un personaggio maestoso e carismatico, autorevole ma intenso, un Inumano alla disperata ricerca del perdono per le sue azioni passate. È un peccato pensare che, così come è capitato con altre testate, McNiven potrebbe lasciare Uncanny Inhumans da un momento all’altro.

Al termine della issue è presente una brevissima storia che vede alla penna Ryan Stegman, disegnatore che accompagna Soule in Inhuman. I protagonisti sono due personaggi che abbiamo imparato ad amare nel corso degli ultimi mesi e rappresenta un piacevole surplus dopo l’epica narrazione di Soule e McNiven.

Uncanny Inhumans #0 è esattamente tutto ciò che un lettore desidera da una prima issue: personaggi stellari, comparto artistico d’impatto e una trama che porta l’interesse verso il futuro della serie. In questo oceano di qualità elevatissima spicca Black Bolt, un personaggio affascinante che cattura il lettore e lo coinvolge nelle sue drammatiche vicende. Charles Soule ha colpito ancora.

 

The Dying & The Dead #2 – Hickman/Bodenheim
City Of Ghosts

 

La prima issue di questa serie è stata una sorpresa, una solida partenza per una serie che si discosta dall’usuale stile tipicamente Hickmaniano, dalle sue storie solitamente ad ampio respiro che si muovono su più livelli di narrazione, con sottotrame complesse ed intrecciate tra loro. The Dying & The Dead è la dimostrazione delle capacità narrative dell’autore e della sua versatilità: Hickman incanala la sua filosofia e il suo stile in una storia intima e profonda, in grado di presentare personaggi carichi di intensità ed emozione caratterizzati in maniera perfetta. Uno scrittore abile a tutto tondo che con questa serie regala uno smacco a tutti coloro che hanno sempre criticato Hickman per la scarsa tridimensionalità dei suoi personaggi.

 

The Dying & The Dead #1 ha compiuto un ottimo lavoro nel definire il setting e i cardini su cui la serie poggerà: la vecchiaia, la morte intesa come evento naturale della vita e l’effetto ineluttabile che essa ha sull’amore. In questo Secondo Numero l’attenzione si sposta sulla presentazione di quelli che saranno i protagonisti della serie, amici di vecchia data del protagonista, sulla naturale senescenza che stanno affrontando e su quanto essa non sia altro che una lenta strada verso la morte. È incredibile come Hickman riesca ad introdurre quattro nuovi personaggi rendendoli immediatamente in grado di catturare il lettore: diviene fondamentale seguire il piccolo gruppo di anziani nell’avventura in cui si getteranno a capofitto ed è naturale empatizzare con loro, preoccuparsi per la missione pericolosa che stanno per intraprendere. Hickman è perfetto nel presentarci un gruppo di esseri umani che ha già vissuto i suoi giorni migliori e che vive di una toccante nostalgia malinconica per la gloria del passato. Ancora più apprezzabile è il rendere questi avvenimenti passati dei protagonisti non solo uno stratagemma per dar loro profondità ma anche un meccanismo narrativo che muove la storia nel presente.

Il Colonnello, protagonista di The Dying & The Dead, viene definito ancora di più nella sua personalità e nella sua etica ambigua che lo ha portato a stringere un patto con entità poco affidabili per porre fine alla malattia terminale di sua moglie. La trama in TD&TD#2 procede lentamente essendo fondamentalmente una issue di presentazione dei personaggi ma il legame che essi hanno con il motore dell’azione è talmente forte, misterioso ed interessante da far accettare serenamente il ritmo molto lento della narrazione.

 

Il comparto grafico di Ryan Bodehneim corrobora l’intensità dello script di Jonhatan Hickman delineando alla perfezione il mesto setting che fa da sfondo alle vicende. Angoscia, depressione e violenza vengono rappresentate alla perfezione in The Dying & The Dead #2 ed esteticamente i personaggi diventano degli avatar di queste emozioni viscerali attraverso le loro espressioni, i loro sguardi e le loro azioni.

La potenza della sceneggiatura di Hickman e il fantastico accompagnamento artistico di Bodehneim portano immediatamente The Dying & The Dead tra le serie più interessanti di questo inizio 2015, un viaggio intimo nella mente di coloro che vivono in attesa della morte e della caparbietà che possono dimostrare nel negarla.

 

Short Medley Review! 

 

Graveyard Shift 4 (of #4) – Faerber/Bueno: Termina gradevolmente la miniserie di Jay Faerber (Noble Causes, Copperhead, Secret Identities) sull’impatto che il Vampirismo può avere in una relazione amorosa: Hope, la vampirizzata, e Liam, il suo ragazzo poliziotto, si accingono ad affrontare il succhiasangue che ha relegato la bionda protagonista alla non-vita, Cromeyer. Quella che era cominciata come un visione alternativa della miscela Amore&Sangue si chiude con una issue action piuttosto banale ma comunque ben eseguita. Nonostante il plot abbia ancora delle domande a cui non è stata data una risposta precisa, il rapporto tra i due protagonisti è il miglior aspetto della miniserie e i dialoghi tra Hope e Liam sono di qualità molto elevata.

L’artista Fran Bueno è perfetto nel settare l’atmosfera di Graveyard Shift e nel rappresentare la bestialità dei Vampiri così come è in grado di giocare con luci ed ombre per aggiungere dettagli all’ambientazione. Il principale problema di questa miniserie è la sua breve durata: nonostante sia comunque godibile, qualche issue in più avrebbe portato all’eliminazione di molti punti oscuri della sceneggiatura e avrebbe portato Graveyard Shift su livelli qualitativi molto più alti rispetto a quelli su cui ha viaggiato per questi quattro mesi. Peccato.

 

UFOlogy #1 (of 6) – Tynion/Yuenkel/Fox: James Tyinion IV è probabilmente uno degli scrittori più sottovalutati del comicsworld occidentale: autore dell’ottima ongoing The Woods e di quella che a mio parere è stata la miglior serie del 2014, Memetic, con UFOlogy ci porta in un viaggio in cui fantascienza, mistero, tropi della vita famigliare e teen drama si mescolano quasi alla perfezione. La narrazione di Tynion e Yunkel è di ottima fattura così come i due protagonisti e i dialoghi, intriganti e scritti alla perfezione. Matthew Fox compie un ottimo lavoro nel delineare un’atmosfera che mescola Twin Peaks e Silent Hill e muove bene i personaggi di stampo chiaramente Teen. Spesso però i volti dei due protagonisti si assomigliano troppo e distinguerli tra gli svariati personaggi che appaiono diventa fastidioso. UFOlogy#1 è una issue di debutto promettente che propone un buon numero di sottotrame interessanti come accompagnamento alla storyline principale.

 

Thank God Is Wednesday 8 non finisce qui! Appena sarà possibile si espanderà nel numero 8.1 per la recensione di Avengers: Rage Of Ultron, Graphic Novel di Rick Remender, Jerome Opena e Pepe Larraz! Stay tuned.

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