Black Eyed Kids v1 di Joe Pruett e Szymon Kudranski – I Bambini

Fuori è buio. Sei solo in casa. Senti bussare. Dopo aver aperto la porta, vedi di fronte a te due bambini. Ti chiedono di entrare in casa per usare il tuo telefono. Devono chiamare i loro genitori per tornare a casa. Mentre tutto questo accade, sei sopraffatto da un’angoscia indescrivibile. Un intenso terrore si impadronisce di te. Non sai cosa sta succedendo. Dando un’occhiata ai due bambini che hai appena lasciato entrare dentro casa, ti accorgi che i loro occhi sono completamente neri. Un nero solido, profondo e privo di sfumature. Vorresti cacciarli via. Vorresti tornare indietro. Vorresti non aver mai aperto quella porta. Ormai è troppo tardi. Sono entrati.

Black Eyed Kids è l’horror creato da Joe Pruett e Szymon Kudranski, con le copertine di un gigantesco Francesco Francavila, per Aftershock Comics nel 2016. Edito in Italia da Saldapress, il fumetto trae ispirazione dalla leggenda metropolitana dei “Bambini Dagli Occhi Neri”, esseri dall’aspetto umano, di età variabile tra i 6 e i 16 anni e con occhi completamente neri. Secondo le numerose versioni della leggenda, queste creature si aggirano per le città come autostoppisti, mendicanti oppure chiedendo aiuto bussando alle porte di vittime ignare della loro natura malvagia.

È possibile inquadrare meglio il fenomeno dando un’occhiata a questo “resoconto”.

Il primo volume della serie è diretto e lineare tanto quanto lo sono le sue premesse. Di solito l’orrore moderno presenta un ripiegamento su se stesso, una narrazione che punta a spaventare dall’interno. Le sue maggiori rappresentazioni cinematografiche (It Follows, Get Out, Babadook o il recentissimo The Killing Of A Sacred Deer, per citarne qualcuna) così come la letteratura di un gigante come Stephen King, riportano spesso l’orrore in una dimensione personale. L’inspiegabile è quasi sempre metafora e/o vettore di una tematica umana.

Black Eyed Kids ha un intento diverso: i bambini dagli occhi neri non sembrano avere contatto con l’umano, sono semplicemente delle mostruosità violente e malvagie. Nella più rodata tradizione delle leggende urbane, l’agire della creature sembra essere fuori da logiche comprensibili. Persino nel momento in cui sembra potersi avvicinare ad una linea di pensiero umana, essa appare egualmente aliena.

Joe Pruett non spreca troppo tempo nel dare una caratterizzazione peculiare ai suoi personaggi, delineando stereotipi freddi ed anonimi. L’approccio minimalistico dell’autore è mirato principalmente a portare avanti la vicenda che coinvolge i Bambini, veri protagonisti di questo primo volume. L’angoscia provocata dalle misteriose creature sovrasta ogni altro elemento di Black Eyed Kids, portandoci spesso ad una narrazione horror pura, priva di contaminazioni. È in quei momenti che BEK dà il meglio di sé, risucchiando il lettore nella violenza rappresentata su carta e nel terrore provocato dall’ignoto che i mostri rappresentano.

D’altro canto, il mancato investimento nella creazione di personaggi tridimensionali pesa sull’opera. Non essendoci coinvolgimento emotivo, è difficile mantenere costante la sensazione di ansia provocata dalla comparsa dei Bambini. Nonostante la presenza di un nucleo famigliare coinvolto nelle vicende, l’unico personaggio umano che riesce ad attrarre il lettore è quello più vicino alle creature: Meredith Williams, scrittrice sola al mondo e rapita dai Bambini per documentare la loro ascesa.

Lo stacco tra le cover di Francesco Francavilla e l’artwork di Szymon Kudranski è destabilizzante. Da una parte abbiamo un artista che ha fatto dell’espressionismo pulp il suo tratto distintivo, mentre dall’altra abbiamo la tendenza marcata ad un freddo fotorealismo, caratterizzato da una palette muta e da una problematica rigidità delle figure umanoidi. Nonostante questi pesanti difetti, Kudranski riesce a regalare momenti d’atmosfera ben realizzati, salvo poi ricadere in scene di movimento spesso poco comprensibili. L’azione, purtroppo, non è il punto di forza di BEK e lo si avverte in ogni momento in cui la velocità fa da padrona. Scelte di angolazioni superficiali e una legnosità nel rappresentare determinati passaggi rapidi, rendono poco credibile buona parte del comparto artistico di Black Eyed Kids.

Black Eyed Kids è un’opera che, pur mantenendo coerente la sua linea d’azione diretta e priva di fronzoli, incespica un po’ troppo spesso portando la realizzazione generale ad un livello solo sufficiente. Nonostante siano lontanissimi dal capolavoro, Pruett e Kudranski confezionano un discreto intrattenimento per gli appassionati di genere. Una buona partenza per una serie che potrebbe avere ancora molto da dire.

Condividi